Quando Tortora e Negri duellavano in tv sul processo

Dalla Rassegna stampa

Dopo Kant da leggere la sera al posto di andare ad Arcore per una festa, Umberto Eco, nella «Bustina di Minerva» sull'Espresso del 10 febbraio, ha suggerito un'altra lettura anti-cav: Il Critone. L'opera di Platone in cui si racconta di come e perché Socrate, processato in Atene, rifiutò di salvarsi la vita fuggendo. Eco si augura che la seminale lettura della vicenda di Socrate possa portare gli avvocati di Berlusconi sulla retta via, cioè il rispetto dell'operato della magistratura. Come corretta, scrive Eco, è la richiesta di estradizione di Battisti richiesta da Berlusconi.

C'è però un precedente importante che mostra come conoscere Socrate possa dissuadere dal seguirne l'esempio e, di contro, ignorarlo possa portare a imitarlo (in modo dunque socraticamente corretto). Capovolgendo, di fatto, l'ottimismo socratico che deve aver mosso Eco: chi conosce il bene agisce il bene. Di cosa si tratta? Di una controversia televisiva del 1984 tra Toni Negri, filosofo latitante, ed Enzo Tortora, conduttore perseguitato. C'è un video, presente nell'archivio di Radio Radicale (rimesso in rete dal blog di Guido Vitiello unpopperuno), dove il conduttore di Portobello ragiona come Socrate, e accetta il processo (sarà dimostrata la sua innocenza, ma lui patirà negli anni successivi, fino alla morte, gli effetti collaterali della malagiustizia, una cicuta a scoppio ritardato). Negri, invece, si arrampica sugli specchi, e parla della magistratura con toni simili a quelli di Berlusconi oggi, rivendicando il diritto alla latitanza come un Cesare Battisti qualunque (a parte la giusta riflessione sul ruolo ambiguo dei pentiti).

Il faccia a faccia è del novembre 1984, ha luogo a Parigi, ed è organizzato - come racconta Vittorio Pezzuto nel libro Applausi e sputi - dal giornalista Gigi Speroni grazie all'allora capogruppo radicale alla Camera Francesco Rutelli che lo mise in contatto con il filosofo in fuga. In studio è presente un suo omonimo, il neo-segretario dei Radicali Giovanni Negri, che rinfaccia al filosofo la fuga e l'ostinazione a non dimettersi da parlamentare, per non rinunciare allo stipendio (il seggio alla Camera è vuoto). Entrambi dovevano essere alfieri della battaglia per una «giustizia giusta» contro le ingiuste carcerazioni preventive. Ma mentre Tortora ha fatto della sua battaglia, privata e personale una battaglia politica dei Radicali, Negri ha disertato, difendendo solo se stesso.

Il professor Negri, accusato di insurrezione armata contro lo Stato, è incarcerato preventivamente nel '79. Liberato dall'elezione con i Radicali, esce di prigione nel 1983, ma poi la Camera - con l'astensione del partito di Pannella - gli toglie l'immunità e lui fugge all'estero, contrariamente a quanto promesso (Negri viene poi condannato a 30 anni per il sequestro Saronno). Tortora, invece, nell'83 viene arrestato con l'accusa di traffico di droga e appartenenza alla Camorra. Dopo una lunga carcerazione preventiva, viene scarcerato perché eletto alle elezioni europee con i Radicali. Lui però rispetta i patti e rinuncia all'immunità, per presentarsi al processo e difendersi.

Incalzato da Tortora, Negri risponde. «Sono evaso da una prigione Italia governata da una magistratura indegna del nome giustizia», «sulla quale avevo dato un giudizio del tutto corrispondente a quello che in realtà essa si è rivelata nella conduzione del processo», «è indegna di portare questo nome». La magistratura «è uno dei peggiori tumori della società italiana, una magistratura dalla quale dobbiamo liberarci come istituto se vogliamo rinnovare l'Italia», «la corruzione sanzionata, stabilita e difesa dalla magistratura ha permesso la crescita della enorme crisi italiana». Tortora ricorda che ha tradito il patto con i radicali e con quanti restano ingiustamente in carcere, per il regime di carcerazione preventiva. «C'è del vero dello sconquasso giudiziario, - dice Tortora - ma si affronta da uomo, non restando in Francia». Negri non capisce, dice, «perché dovrebbe affrontare una magistratura che permette che la vita degli uomini sia messa in pericolo anche nel momento più estremo. Per me è un dovere ribellarmi alle leggi ingiuste». Giovanni Negri obietta che non è «molto socratico». E qui l'ego di Negri sale in cattedra: «Io - dice con gravità -purtroppo sono filosofo e ho letto Socrate», che «ha detto che è un dovere ribellarsi alle leggi ingiuste: si tratta di accettare le leggi giuste se sono male applicate, ma io le reputo ingiuste».

Ancora Tortora, pacato, risoluto. «Tutto questo va cambiato, io non conoscerò Socrate, ma conosco i Radicali» e Negri «credeva che si mettessero a disposizione di una persona, non di un principio...». Giovanni Negri incalza il filosofo: «Nessuno ti ha chiesto socraticamente di bere la cicuta, saresti stato candidato alle elezioni europee». Toni Negri protesta e invoca la complicità di Tortora, «lui mi capisce...». Ma Tortora è fermo: «No, le battaglie vanno fatte in prima persona, non da fuori il paese» E Giovanni Negri chiosa. «Nessuna cicuta, ti sei bevuto lo champagne».


Torniamo ad Eco. Sapeva che la sua proposta di lettura era paradossale. Ma fino a quanto può esserlo? Nell'articolo dell'Espresso ricorda le premesse del Critone: «Socrate è stato condannato a morte (ingiustamente, noi lo sappiamo, e lo sapeva lui) ed è in carcere ad attendere la coppa della cicuta. Viene visitato dal suo discepolo Critone che gli dice che tutto è preparato per la sua fuga». Ma Socrate «accettando di vivere in Atene e di godere di tutti in diritti di un cittadino, ha riconosciuto la bontà di quelle leggi, e se osasse negarle solo perché a un certo momento esse agiscono contro di lui, contribuirebbe a delegittimarle e pertanto a distruggerle. E non si può approfittare della legge sino a che lavora a nostro profitto, e rifiutarla quando decide qualcosa che a noi non piace».

Ma è esattamente quello che ha fatto e fa Berlusconi. Approfittare delle leggi finché lavorano a suo profitto, come con Craxi, e poi fuggirle quando non si riescono a cambiare. Perché dovrebbe rispettarle adesso che crede che i magistrati vogliono la sua condanna a morte politica? Eco è troppo socratico, troppo ottimista nel credere che basti far leggere a Ghedini & co. Il Critone per farli agire bene. E poi, oltre a Il Critone, va riletta anche l'Apologia di Socrate, scritta sempre da Platone, per ricordare come e da quali accuse si è difeso Socrate. E interessa non tanto l'accusa di «empietà», contro ciò che ad Atene è sacro, quanto quella di «corrompere i giovani», i suoi allievi. «Non corrompo i giovani - dice Socrate - o, se li corrompo, lo faccio involontariamente (...). E se lo faccio involontariamente, la legge non consente di tradurre davanti ai giudici nessuno per tali falli involontari, ma in tal caso occorre che si chiami in disparte il colpevole per ammonirlo e correggerlo nei suoi errori. Poiché è chiaro che io non farò più involontariamente quel che faccio, quando avrò imparato come si fa». Ma tu, dice rivolto a Meleto, «mi trascini qua dove è legge che siano trascinati solo quelli che hanno bisogno di castigo e non d'insegnamento». E infine la prova dell'innocenza. «Se e vero che lo continuo a corrompere i giovani, altri ne ho già corrotti; e costoro, essendo venuti ormai avanti negli anni e riconoscendo che io ho dato loro quando erano giovani cattivi insegnamenti, avrebbero dovuto oggi presentarsi qui per accusarmi e vendicarsi. E supponendo che non hanno voluto farlo da sé, avrebbero potuto in loro vece farlo i loro familiari, padri, fratelli, congiunti che siano».

Colpe commesse involontariamente, leggi applicate male, giovani corrotti che non denunciano il corruttore... A infiltrare la lezione socratica nel caso Berlusconi si creano strani cortocircuiti. E torna utile il surrealismo di Alberto Savinio che, nel libro Dieci processi (Sellerio), conclude così il suo scettico profilo di Socrate: «Questo savio, il cui valore intellettuale ci è così problematico e oscuro, era (...) il tipo perfetto dell'arrivista integrale». Una lettura maligna? Meglio del santino esposto da Benigni a Rockpolitik di Celentano: «Socrate era una persona meravigliosa, grazie a lui noi siamo qui, vivi!». Anzi, di più. Il Socrate "paraculo" di Savinio è il ritratto perfetto di Negri. L'arrivista integrale, l'intellettuale oscuro e problematico che, d'altronde, riesce a sostenere qualcosa di impossibile: aver letto Socrate. Ma Socrate, come sanno tutti gli scolari del liceo, non ha scritto nulla. Leggere Socrate non può rendere migliori, né socratici, perché Socrate non ha scritto nulla.

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