Quando smantellare non serve

Dalla Rassegna stampa

Questo giornale denunciò per primo, con interviste e analisi, prima anche dell'avvio delle inchieste della magistratura, il rischio di una Protezione civile trasformata in macchina degli appalti a largo raggio in forma di spa. Con altrettanta chiarezza bisogna dire oggi che smantellare la Protezione civile, dopo il ridimensionamento degli ultimi due anni, non serve a nessuno.

Il rischio di uno smantellamento della Protezione civile – oppure di una regressione a oltre venti anni fa – ora c'è davvero, dopo la sentenza che ha condannato a sei anni i componenti della commissione Grandi rischi per le errate previsioni sul terremoto dell'Aquila e alcuni esponenti dello stesso dipartimento.
Le dimissioni di ieri sono le prime avvisaglie di un fenomeno che può diventare travolgente. Pur senza immaginare disegni unitari o regìe dietro la sentenza, occorre però da una parte ribadire che quella decisione è un'abnormità che rischia di ridicolizzarci di fronte alla comunità scientifica internazionale. Dall'altra bisogna evidenziare come l'effetto probabile sia la paralisi dell'attività previsiva dell'intero sistema di Protezione civile, con il rischio che la perdita di credibilità del sistema riporti il dipartimento alla mera organizzazione del soccorso a fatti avvenuti. Il modello di venti anni fa, appunto.
Sappiamo che il percorso di ridmensionamento della Protezione civile è cominciato per la bulimia del «modello Bertolaso». Non era solo eccesso di protagonismo. Era anche la convinzione (errata) di una larga parte della politica che attraverso la Protezione civile si potesse fare tutto e prima.

Lasciamo alla magistratura la valutazione sui fatti patologici e sull'inquinamento del sistema degli appalti di quel modello, ma diciamo anche che quella Protezione civile incarnava due requisiti opposti: forte efficienza nella capacità di intervento e una missione distorta che si era andata focalizzando sui grandi eventi, con un ricorso sistematico ai poteri straordinari di ordinanza.
Quel modello è saltato. Cancellati dalla missione i grandi eventi, sono rimaste le due attività che una Protezione civile dovrebbe svolgere: la prevenzione su un territorio disastrato e il soccorso. È stato ridimensionato il potere commissariale, riportando tutto a un maggiore collegamento ordinario con le istituzioni sul territorio.
L'attuale equilibrio è quello giusto e il percorso è corretto. La sentenza di lunedì rischia seriamente di farlo saltare. La scienza e la tecnica hanno propri codici che non possono essere violati né dalla politica né dalla magistratura. Uno scudo protettivo è necessario. E lo Stato avrebbe bisogno di un numero maggiore di strutture "tecnocratiche" per ridare efficienza ai propri interventi. Come erano un tempo i provveditoriati alle opere pubbliche.
È interesse di tutti difendere questi presidi su un territorio malato di frane, dissesti idrogeologici, terremoti, alluvioni. È interesse anche del Governo dei tecnici, intervenendo per puntellare e difendere ciò che rischia di essere travolto.

 

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