Quando la sinistra accusava Saragat di socialfascismo

Dalla Rassegna stampa

Ci troviamo spesso a riscoprire eventi, figure e personalità del passato che ci offrono una memoria viva nel presente, cioè una memoria capace di parlarci di quel che accade oggi. È una cosa che succede, per esempio, se ripensiamo o riscopriamo il profilo politico e istituzionale di Giuseppe Saragat. Un socialista liberale e democratico, a cui lo stesso Bettino Craxi mostrò attenzione e riconoscimento, ma che pagò sulla propria pelle la scelta di non assoggettarsi alle direttive del "socialismo reale" e che, per questa sua autonomia, venne additato da sinistra come un "socialfascista". In linea, insomma, con quella teoria comunista e catto-comunista secondo cui i nemici sono soltanto a sinistra. Saragat è ancora attuale perché appartiene alla memoria della nostra penisola e la memoria ci aiuta spesso a comprendere i nostri tempi.

E così può avere un lampo di attualità quanto scriveva L'Adige il 17 novembre 1966, esattamente 45 anni fa: «Il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat giunge stamane a Trento da dove avrà inizio il suo viaggio nelle zone colpite dalla grande alluvione... Durante una riunione Saragat sarà messo al corrente della situazione nelle zone colpite. Il Capo dello Stato si recherà quindi in macchina nella zona nord di Trento danneggiata dalla catastrofica inondazione dell'Adige». Oggi come allora, infatti, l'Italia era stata colpita dal maltempo. Il 4 novembre c'era stata anche l'alluvione di Firenze, rimasta negli annali per i danni provocati, per quello che comportò e per l'impegno dei giovani volontari nell'adoperarsi affinché la città fosse liberata dal fango. Insomma, anche allora, si vissero ore assai simili a quelle che stiamo vivendo in questi giorni.

Non dimentichiamoci che il socialista Saragat, nel gennaio del 1947, ebbe la lungimiranza di dare vita alla cosiddetta "scissione di Palazzo Barberini". In altre parole, fondò il Partito socialista dei lavoratori italiani staccandosi dal Psi di Pietro Nenni e rifiutando così l'abbraccio con il Pci di Palmiro Togliatti. Questa scelta ha cambiato le sorti del nostro Paese perché il leader social-democratico preferì la libertà e la politica filo-atlantica piuttosto che il campo sovietico. Si trattò di una scelta difficile che pagò caramente: nelle elezioni politiche del 1948, durante e dopo la campagna elettorale, l'alleanza social-comunista lo considerò un "nemico" e definì Saragat con i peggiori epiteti: social-fascista, socialtraditore, social-democristiano, rinnegato. Le sue colpe erano state, secondo i detrattori della sinistra, quelle di aver accettato l'adesione dell'Italia nell'alleanza occidentale, di essere stato favorevole al Piano Marshall, di aver stretto rapporti strategici con la Democrazia Cristiana scegliendo, quindi, un'intesa verso il centro e non verso sinistra. Contro Saragat, da parte del Pci e di Togliatti, si scatenarono negli anni le più assurde critiche per aver tradito la classe dei lavoratori, per aver spezzato l'unità degli operai, per aver favorito la democrazia borghese, per aver scelto il governo dei capitalisti e non la dittatura del proletariato. Il fatto è che, per il futuro Capo dello Stato, la lotta di classe socialista aveva come fine la libertà e non poteva esserci libertà per gli operai se questo significava andare contro l'interesse generale, cioè a danno della libertà di altri. L'obiettivo dei socialisti, infatti, secondo Saragat, doveva essere la democrazia, la repubblica, la conquista del bene comune, di tutti. Non è forse un caso che il giovane Saragat, ai tempi dell'Università, studiò con Luigi Einaudi laureandosi in economia e commercio. E non è nemmeno un caso che Saragat, fin da giovane, ebbe una grande ammirazione per Benedetto Croce.

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