Quando eravamo moderni

L'antipolitica nasce negli anni Ottanta del secolo scorso. Un decennio dalla forte identità. Oggetto di valutazioni opposte. Per molti, a sinistra, era un periodo di caduta di valori, chiusura nel privato, egoismo e cinismo. Anni superficiali, dominati dall'immagine e dalla televisione, dall'arricchimento facile. Era la lettura, cupa e apocalittica, del leader comunista Enrico Berlinguer.
E anche di parte del mondo cattolico. Al contrario, Bettino Craxi e il Psi coglievano lo spirito del decennio come quello delle opportunità, della fine degli scontri ideologici, delle riforme, dell'affermazione dei nuovi soggetti economici. La caduta della prima Repubblica sembrò dar ragione agli "apocalittici”; e a una lettura in chiave degenerativa. È stato Umberto Eco a rivalutare il periodo. Senza tuttavia far breccia adeguata nella storiografia.
Lo storico Marco Gervasoni (Università del Molise) reca ora un contributo innovativo per meglio conoscere quel cruciale decennio. Nella sua "Storia d'Italia degli anni Ottanta. Quando eravamo moderni" (Marsilio, 254 pagine, 20 euro) Gervasoni rileva che per la prima volta "gli italiani sembrarono indirizzarsi verso una società degli individui”. La parola "successo", notava già Beniamina Placido, tornava ad avere una connotazione positiva. Negli Stati Uniti la proposta, reaganiana era divenuta cultura diffusa. Da noi, invece, individualismo e spinta all'arricchimento trovarono un forte ostacolo nelle subculture cattoliche e comuniste. Il guadagno era considerato un peccato. Furono le televisioni private a costruire "il nuovo senso comune e la nuova cultura diffusa". Esplose allora il consumo di massa. In un contesto mondiale che sarà più tardi definito “globalizzazione”.
Le categorie di "arretratezza” e "ritardo", utilizzate per leggere la realtà italiana, divennero inadeguate. Soggetti collettivi e ideologici ottocenteschi rivelarono tutta la loro inadeguatezza.
Persino la percezione del tempo cambiò. Rapidità imposta dal mercato e alfabetizzazione sensoriale plasmata dai media crearono un "uomo nuovo", rapido nelle scelte e impaziente nelle risposte attese. L'organicismo e il collettivismo cedettero il posto all'individualismo. Ma il passaggio fu repentino. È questa "la peculiarità italiana", osserva Gervasoni. Questa "maturità precoce" spiega numerosi fenomeni politici: "Il crollo dei partiti come agenzie etiche (ben prima di tangentopoli), un nuovo populismo, il bisogno del leader e del decisore".
Non tutti accettarono "l'accelerazione del tempo storico". I grandi partiti di massa "fecero di tutto per frenare o perlomeno rallentare la corsa"', con il risultato di restare estranei al mutamento. Quanti pretendevano di frenare "la rivoluzione degli individui" somigliavano ai reazionari schierati contro il 1789. Solo che ora i "reazionari" erano dirigenti e intellettuali di “sinistra". Incapaci di vedere quanto di buono, ad esempio la riduzione delle disuguaglianze,c'era nella crescita di quegli anni. Non che mancassero seri problemi, come la criminalità organizzata.
Tuttavia il catastrofismo degli apocalittici era d'ostacolo a convinte politiche riformiste. Per frenare la caduta dei consensi la politica scelse la via della spettacolarizzazione. In linea con le tendenze estetizzanti che pervadevano la società e la cultura. Prima della politica si era, infatti, spettacolarizzata la cultura. La spettacolarizzazione della politica "fu conseguente all'infrangersi delle barriere tra linguaggi alti e bassi, tra avanguardia e consumo,tra sublime e pop". I grandi partiti, Dc e Pci, guardavano con sospetto al marketing politico. Maggior interesse vi era nei partiti intermedi. Enzo Tortora cominciò a far cantare i politici nel suo programma "Cipria", su Retequattro. Non era la via per aumentare la credibilità della politica. Si tentò quindi la strada del coinvolgimento diretto degli uomini di spettacolo nella comunicazione politica. I congressi di partito divennero eventi mediatici. Era tuttavia Marco Pannella il più agguerrito protagonista della politica spettacolo. Tanto da candidare la pornostar Ilona Staller. La politica si trasforma in show; e lo show in politica Beppe Grillo e Adriano Celentano dagli schermi televisivi attaccano i politici; lanciano proclami ai telespettatori.
Ugo Intini, direttore dell'Avanti! e portavoce del Psi, intravide subito come un pericolo per la democrazia il potere che gli uomini di spettacolo e i media avevano acquisito. Programmi tv come "Mixer" di Giovanni Minoli e il "Maurizio Costanzo show" divennero la sede preferita per annunciare decisioni e svolte politiche.
Nel 1988 Giuliano Ferrara importò su Raidue l'infotainment: il racconto di cronaca con le tecniche dell'intrattenimento e dello spettacolo. A loro volta Gad Lerner e Michele Santoro spingevano il pubblico alla mobilitazione, definendo così l'agenda politica. Il dato fondamentale dei programmi giornalistici nell'età della politica spettacolo era "l'alta tensione" e "l'uso spettacolare dell'indignazione, il rinfocolamento delle passioni. Il conduttore era al contempo "fomentatore delle tensioni e punto di equilibrio". L'imparzialità e la neutralità del giornalista fu abbandonata. Al conduttore interessava solo confermare una tesi di partenza. Fini per prevalere un populismo mediatico che accompagnò il crollo del sistema dei partiti. L'indignazione fu il sentimento dominante allo scadere del decennio. Pochi compresero l'innovazione in atto.
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