Quando Belpietro parlò di pressioni della Gdf fu cacciato

Ripubblichiamo l'intervento di Massimo Bordin uscito sulle pagine del «Riformista» di domenica 31 luglio.
La Guardia di Finanza non gode di grande simpatia.
Non è bello - tanto meno "politicamente corretto" - a dirsi ma è così. Se però c'è una persona, una sola, in tutta Italia che non può indulgere a questo pregiudizio negativo è il ministro che è politicamente responsabile del suo operato.
Quando Tremonti sostiene di essersi sentito spiato in una caserma delle Fiamme Gialle apre una questione che rischia di travolgere lui per primo, perché è logico domandare come mai non abbia, lui che poteva, preso immediati provvedimenti di fronte a violazioni così gravi. La faccenda, spiattellata dal ministro sui due principali quotidiani - più su uno che sull'altro, per la verità - è ora in mano ai numerosi azzeccagarbugli e paglietta che animano la cronaca politica e giudiziaria.
Intervenga il Copasir, invocano non pochi, ma la Guardia di Finanza non è un servizio segreto, anche se ha il suo "Ufficio I" e i suoi nuclei speciali non rientra nell'ambito di intervento del comitato parlamentare sui servizi. Intervenga il presidente della Repubblica che come capo delle forze armate può, anzi deve, destituire i generali felloni, invoca Travaglio.
Solo che, a norma di legge, Napolitano non può e troppo trasparente è il tentativo di additarlo strumentalmente come compiacente.
Piuttosto, a proposito di presidenti della Repubblica e di Guardia di Finanza, un precedente c'è. Risale alla seconda metà degli anni '90 quando un referendum sulla smilitarizzazione della Guardia di Finanza promosso dai radicali - e da chi se no? - vide la Consulta mutare repentinamente il suo giudizio di ammissibilità dopo, scrisse qualcuno, le pressioni di un presidente della Repubblica, Scalfaro, a sua volta pressato nella notte da generali con le mostrine gialle. Chi denunciò, rimettendoci il posto da direttore del Tempo, questa vicenda? Travaglio? No, Maurizio Belpietro, cribbio.
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