Quale unità

Dalla Rassegna stampa

 

Fino a ieri, le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia erano l’evento, senza ombra di dubbio, più silenziato e snobbato (comunque uggioso). Poi, di colpo, le luci della ribalta si sono accese: in seno al comitato dei Trenta (niente a che vedere coni trenta tiranni, il governo fantoccio imposto da Sparta per umiliare la sconfitta Atene) istituito per inventarsi qualche decente evento commemorativo è scoppiata una burìana imbarazzante. Il presidente del comitato, Carlo Azeglio Ciampi, si è dimesso accampando pretesti di età. Il gesto è stato amaramente sottolineato da Alberto Melloni - anche lui membro del comitato - con un articolo che era comunque una presa di distanza da un organo "senza potere, se non quello di dire la sua". I commissari si sono spaccati: tre hanno chiesto a Berlusconi di respingere le dimissioni del presidente, non per garantire l’efficienza del comitato ma per rispetto alla storia e al lavoro svolto da Ciampi"; secondo altri, l’occasione va colta senza indugio per sciogliere l’inaffidabile consesso e, tanto per dare una spintarella, si sono anch’essi dimissionati; infine ci sono quelli per i quali è inutile creare problemi, tiriamo avanti, però tutta la faccenda non serve a nulla, Se vogliamo dar credito a Melloni, alla fine ci si ridurrà a "un derby fra nazionalisti fuori tempo e federalisti senza padri". Un derby, o non piuttosto una falda?
La maionese impazzita delle celebrazioni per l’Unità corrisponde perfettamente allo stato dell’identità italiana, quale la constatiamo oggi nonostante gli accorati rimbrotti di Giorgio Napolitano. Ma c’è una identità italiana? La maggioranza consente pur se tra interessati distinguo e interessate schermaglie, una aggressiva minoranza sghignazza invece che no, quella roba, il Risorgimento, patria, tricolore - è tutta
una gàbola, basta con la retorica dei festeggiamenti. La minoranza aggressiva è, in massima parte, di coloro che vogliono il federalismo fiscale magari moltiplicando province e regioni (ora chiedono l’indipendenza amministrativa anche per la piadina e il lambrusco romagnoli) però mantenendo i prefetti del centralismo napoleonico.

Cattolici in prima fila
Curiosamente, tra i difensori dell’Unità d’Italia come venne raggiunta nel Risorgimento liberale e massonico è oggi in prima fila il mondo cattolico. Non che non abbia anch’esso fatto qua e là un po’ di fronda accampando rivendicazioni di modello vandeano, ma le gerarchie si sono schierate in difesa del sacro suolo, In nome, penso, di una loro concezione dell’identità italiana, quella fondata sulla tradizione cristiana garantita dall’intoccabile crocefisso in scuole e tribunali. Hanno le loro ragioni, per secoli la realtà profonda del paese si identificava con le cattedrali, le parrocchie e le pievi, spesso più forti e radicate di poteri politici fragili e poco autorevoli, non sempre in sintonia con le masse popolari, scarsamente capaci di aggregare consensi. Da quella presenza religiosa abbiamo ereditato una mole di arte e di civiltà impareggiabile, un tesoro comune a tutti, fino al più acceso laicista. E tuttavia il sistema ha presentato falle e crepe, sacche di resistenza e affermazioni antagoniste di grande valenza, soprattutto di indiscussa nobiltà culturale. Ce ne parla un libro, "Il pensiero libero dell’Italia moderna" curato da Michele Ciliberto (Laterza, 2008). E’ una antologia di brani che spaziano da Leon Battista Alberti al Cavour, da Marsilio da Padova a Pietro Giannone, dal Machiavelli a Giordano Bruno, da Galilei a Beccaria, fino al Manzoni e a Cattaneo, molto ben presentati da Ciliberto. Ne lessi vacue recensioni, basate sul risvolto di copertina più che sulla lettura delle quasi seicento pagine, e soprattutto dedicate ad aizzare una polemica laicista che nulla ha a che fare con il lavoro di Ciliberto. Nel loro angusto e strumentale opportunismo, quelle recensioni davano spazio a Machiavelli, a Campanella e Giordano Bruno o anche a Cavour, ma l’obiettivo dell’opera è ben più ambizioso: documentare il contributo del pensiero italiano al formarsi della coscienza laica europea, a partire da quei filosofi rinascimentali che affrontarono il tema della "condizione umana" avviando il "processo di costituzione dell’idea moderna di ‘natura’ e anche di ‘religione’, e dischiudendo linee di ricerca che saranno fruttuosamente riprese nei secoli successivi, specie nel Settecento ". Ecco il punto: il secolare intreccio tra la cultura italiana e il pensiero laico europeo potrebbe essere il bel tema di una iniziativa proposta dal comitato dei Trenta. Altro che il federalismo fiscale e i ricorrenti revisionismi pseudostorici, qui siamo di fronte al manifestarsi di una identità - una delle tante identità, ma non l’ultima - che ha plasmato il nostro paese, rendendolo un grande protagonista storico. Ma questa è una riflessione cui il comitato sembra essere estraneo.

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