La protesta nelle carceri, l'indifferenza del Palazzo

Dalla Rassegna stampa

E’ stata questa una settimana di proteste nelle carceri italiane. Una settimana di proteste pacifiche, non violente. Hanno urlato e sbattuto contro le sbarre delle celle i detenuti delle carceri di: Genova, Lucca, Pescara, Vibo Valentia, Potenza, Pistoia, Verona, Vicenza, Vasto, Saliceta San Giuliano, Reggio Emilia, Poggioreale di Napoli, Bologna, San Vittore di Milano e Regina Coeli di Roma. Proteste non violente determinate principalmente dal sovraffollamento presente nelle carceri italiane. Sono infatti 65.711 i detenuti rinchiusi nelle italiche prigioni, a fronte di una capienza di circa 42 mila posti. Un sovraffollamento che tramuta la detenzione in un trattamento disumano e degradante, quindi in tortura. Un paio di esempi possono rendere più chiaro il livello di inciviltà e di illegalità presente nelle patrie galere.

Nel carcere San Vittore di Milano, uno di quelli dove i detenuti hanno protestato, ci sono 1.400 detenuti, mentre ce ne potrebbero stare di fatto solo 500. La conseguenza è che nel carcere di San Vittore i detenuti stanno in 11 dentro una cella buia e sporca. E questi sono i più fortunati. Altri infatti sono costretti a dormire per terra nelle sale d’attesa perché in cella non c’è posto. Ed ancora, nel carcere di Bologna, che potrebbe contenere solo 480 detenuti, ce ne sono 1.200. Ed anche lì ovviamente i detenuti sono costretti a dormire per terra in luoghi non destinati alla detenzione.

Non giriamoci intorno. La situazione è grave. Le persone detenute oggi vengono trattate come bestie e non come persone. Un trattamento disumano, non a caso definito “tortura” nella recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo. Una tortura, un trattamento disumano e degradante che può indurre al suicidio. Sono 66 le persone che nel 2009 l’hanno fatta finita in carcere. Un numero da non sottovalutare. Esistenze da non sottovalutare. 66 persone che hanno preferito la morte a quella non vita. 66 persone che si sono uccise vista l’impossibilità di vivere ancora in quella cella sovraffollata.
Ora i detenuti, esasperati da tali condizioni di vita, protestano pacificamente. Cercano di far sentire le loro giuste ragioni. Una protesta che è un evento eccezionale in carcere. Esemplificativo del fatto che la misura è ormai colma.

Una protesta non violenta che però resta ignorata. Silenziata. La maggior parte dei giornali e delle televisioni, non hanno raccolto il grido d’allarme proveniente dalle carceri. Tace il Ministro Alfano, che non pare interessato alla questione. Tacciono i giudici e gli avvocati, come se la cosa non li riguardasse. Tacciono i parlamentari della maggioranza e gran parte di quelli dell’opposizione, troppo impegnati a commentare le vicende giudiziarie del Premier. Un panorama desolante. Solo un gruppo di Radicali, in primis Rita Bernardini, sono da 14 giorni in sciopero della fame per chiedere un intervento che affronti il disastro carcerario. Solo loro.

La domanda è: fino a che punto volgiamo arrivare? Cosa deve succedere perché si apra una discussione seria sulla situazione presente nelle carceri?

E’ evidente infatti che occorre prima di tutto gestire un’emergenza. Occorre intervenire con urgenza per arginare il crescente sovraffollamento. Occorre trovare degli strumenti che riportino il numero dei detenuti a livelli fisiologici. Per far ciò potrebbe essere utile fissare un tetto massimo di capienza nelle carceri e, una volta superato questo, pensare a meccanismi che facciano uscire dalle carceri i detenuti più meritevoli. Insomma, pensare ad interventi che consentano di mandare in detenzione domiciliare o in misura alternativa chi non è pericoloso o chi ha scontato gran parte della pena.

Per finire due raccomandazioni. Ai detenuti: continuate protestando in modo non violento. Al Governo: fate presto, prima che la situazione degeneri.
 

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