Progetto Eta Beta per salvare i partiti

Il dibattito sulla forma-partito è aperto. Da qualche tempo a questa parte, in virtù della proposta politica per una costituente liberale e democratica, con l’obiettivo di costruire una democrazia liberale che in Italia ancora non c’è, circola sul web e nei social network l’idea del “progetto Eta Beta”. Ma che cos’è questo Eta Beta? Di che cosa si tratta? È l’idea di un partito o movimento inteso come galassia pluricentrica, composta da più associazioni e soggetti, che fa leva su una visione liberale delle organizzazioni politiche e sul concetto di “intelligenza collettiva”. È l’idea di una forma partito basata sulla “teoria della prassi” e sull’applicazione della democrazia interna. È il luogo dove esiste l’incompatibilità tra eletti nelle istituzioni e dirigenti di partito. Insomma, discutere finalmente sulla forma organizzativa dei partiti potrebbe essere il presupposto per riformare la politica.
Spero che questo mio articolo, anche grazie all’ospitalità del quotidiano Europa, contribuisca un minimo ad aprire, almeno dentro il Pd, un serio e approfondito dibattito sulla formapartito. Perché è ormai evidente: la partitocrazia italiana ha distrutto i partiti. Mentre la democrazia, per vivere, ha bisogno dei partiti. Invece, purtroppo, i partiti non ci sono più, anzi: non ci sono ancora. Di conseguenza, non possiamo neanche più parlare di democrazia. Ma il peggio deve ancora arrivare. Molto presto, infatti, se le cose resteranno in questo modo, la partitocrazia fagociterà anche la nomenclatura che la rappresenta. E il nulla riempirà questo vuoto. A tal proposito, su Radio Radicale, in una recente conversazione con Valter Vecellio, Marco Pannella ha affermato: «La partitocrazia sta dando pericolosissimi colpi di coda perché è morta, nel senso che è nulla, e quando il nulla riempie il vuoto della storia, allora sono i momenti in cui accade il peggio». Abbiamo davanti ai nostri occhi il segno del fallimento di questa longeva partitocrazia. È necessario che si aprano tempestivamente le porte. Il problema, però, è che non ci sono le porte. Sono state tolte. Vedo tanti miei coetanei o anche un po’ più grandi o poco più giovani che avrebbero tutte le qualità per assumere responsabilità politiche, per farsi valere, per dare un contributo fattivo di idee e di lavoro, ma non ci sono gli accessi. Ci sono tutti gli strumenti, ma non ci sono gli ingressi. >La selezione al rovescio premia i gregari, i meno creativi, i più ruffiani, i raccomandati senza merito, i burocrati, insomma: si procede non per cooptazioni basate sulla credibilità dell’individuo, ma per cooptazioni che nascono da esigenze di potere fine a se stesso.
In altre parole, le cooptazioni avvengono secondo logiche e metodi non basati sulle attitudini e conoscenze e capacità delle persone, ma attraverso sistemi verticistici, arbitrari, conformisti, reazionari, clientelari, affaristici, di conservazione del Vecchio Sistema. È come avere tutte le chiavi in mano, ma senza poter disporre delle porte. Le porte non si possono aprire, ora, perché non ci sono. Allora, le porte vanno costruite. La fine della funzione nobile dei partiti è il male più grave della politica odierna. Senza una scala mobile più efficiente nelle forze politiche, quali che esse siano, rimarremo per decenni con gli stessi leader, attuali e potenziali. Insomma, servono partiti come quelli che vent’anni fa vennero prospettati da Giuliano Amato con l’immagine di Eta Beta. Lo so di portare avanti una battaglia che confida più sulle necessità della storia che sui protagonisti della medesima. Ma non si sa mai.
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