Il prezzo che l'Italia paga alla demagogia

Dalla Rassegna stampa

Diciassette miliardi di euro bruciati in Borsa in poche ore. Raffiche di sospensioni sui più importanti titoli italiani, con perdite a due cifre tra i bancari, gli industriali e gli energetici, i settori portanti della nostra economia e del mercato finanziario. L'Europa preoccupata dal voto che ha bocciato le politiche del governo Monti e più in generale il dogma "Merkeliano" del rigore ad ogni costo. Infine, tanto per chiarire le idee a chi pensa che lo spread non conti nulla, l'aumento del differenziale di rendimento tra i BTp e i Bund generato dall'esito delle elezioni costerà all'Italia non meno di 1,5 miliardi in più di servizio sul debito il primo anno, ben 8 miliardi nel prossimo triennio. E poi bisognerà vedere che cosa succede oggi all'asta BTp: il Tesoro deve collocare titoli per 6,5 miliardi di euro, ma dopo l'esito dell'asta BoT di ieri tutto lascia pensare che i tassi sui titoli a medio termine possano tornare a salire come nel 2011 e buona parte del 2012.

Bastano queste cifre per capire che se il prezzo politico dello stallo elettorale è ancora incerto, quello finanziario ed economico è già ben chiaro: la demagogia ha un costo che il Paese - ma anche l'Europa - oggi non può permettersi. Più che l'impasse nella formazione del nuovo governo, quello che spaventa infatti i nostri partner e soprattutto i mercati finanziari è la politica a colpi di slogan. Nessuno all'estero pensa davvero che l'esecutivo che emergerà da queste elezioni possa portare l'Italia fuori dall'Europa o che gli italiani siano pronti a uscire dall'euro.

Quello che si teme davvero è che l'Italia rinunci per altri due o tre anni a mandare avanti le proprie riforme strutturali, che si affidi totalmente agli interventi di soccorso della Bce contro gli attacchi speculativi e che soprattutto non affronti la tematica centrale di questa fase congiunturale, la necessità di coniugare il risamento dei conti pubblici con politiche di sviluppo dell'economia e del lavoro. Un processo che l'Italia, come è espresso chiaramente dalla reazione dei mercati finanziari, non può essere in grado di affrontare da sola: volente o nolente, è solo con l'aiuto dell'Europa che il Paese può uscire dalla recessione. Ma anche l'Europa, da parte sua, farà bene a riflettere concretamente sulle ragioni che hanno spinto l'Italia nelle braccia della demagogia: politiche più sensibili ai temi della crescita, del lavoro e dell'impresa sarebbero ben accolte non solo nei paesi deboli dell'Eurozona, ma anche sui mercati.

Se lo si inserisce in questa cornice, il quadro dipinto dai mercati negli ultimi due giorni è di più facile comprensione. Dietro il rialzo dei tassi e il calo della Borsa, innanzitutto, c'è un messaggio chiarissimo: i mercati non vedono l'Italia come un pericolo sistemico, ma come un rischio nazionale che va riprezzato. In altre parole, l'Italia è liberissima di cavalcare la protesta contro l'Europa e contro l'austerità, ma deve anche sopportarne il costo. Per i Titoli di Stato significa che la discesa dei tassi innescata dagli interventi di sostegno della Bce sui BTp - oltre cento miliardi di euro spesi finora - ha invertito la marcia: lo spread sui Bund torna a salire e con questo il tasso di interesse sull'intera curva dei rendimenti. Ieri i tassi dei BTp a 10 anni - il termometro della fiducia su un paese - sono arrivati al 4,89%, un livello che non si raggiungeva da un anno.

Gli analisti prevedono che la corsa possa proseguire nelle prossime settimane fino a raggiungere la soglia del 5,5%, un livello forse sostenibile nel breve periodo, ma certamente in grado di amplificare gli effetti della recessione sulle famiglie e sulle imprese. Bisogna notare a questo proposito - e anche per smentire chi ritiene che i mercati abbiano intenzione di spingere l'Italia nel baratro - che nessun analista o operatore ritiene che i tassi italiani possano salire oltre il 6% come invece avvenne nel 2011: gli operatori sanno infatti che superata tale soglia interverrebbe la Bce comprando titoli di Stato, come fece appunto due anni fa. Sfidare le banche centrali significa normalmente perdere denaro. Conclusione: chi fa demagogia attacca l'Europa e la Bce, ma sa benissimo che è questa l'unica rete di protezione su cui il Paese può contare.

Ma anche con il tetto protettivo dell'Europa, i danni della demagogia sono inevitabili. Lo spread e i tassi ai livelli attuali non solo impediscono il finanziamento delle imprese sul mercato - ieri molte aziende hanno bloccato programmi di emissione di bond - ma strozzano ulteriormente un mercato del credito già strozzato per le banche e per l'industria. In altre parole, se i tassi tornano e restano oltre il 5% sarà impossibile ciò che oggi è già difficile: ottenere un mutuo per la casa, un prestito per la famiglia o un finanziamento per l'impresa.

Per quanto riguarda la Borsa, infine, è bene che i risparmiatori restino in trincea: anche se è sbagliato e approssimativo affermare che la crisi politica italiana abbia provocato la caduta globale dei mercati azionari, non c'è dubbio che Piazza Affari paghi e pagherà a caro prezzo lo stallo post-elettorale e soprattutto la demagogia anti-mercato e anti-Europa. Se Wall Street è caduta non è infatti per la sconfitta di Monti o quella di Bersani, ma perchè ha sfruttato gli eventi italiani a proprio uso e consumo: lunedì tutti accusavano l'Italia della peggiore seduta registrata quest'anno dalla Borsa americana, ma nessuno ha ricordato che in realtà gli indici azionari sono ai massimi storici e che da ben 500 giorni (pari a 17 mesi) che non si verifica una correzione (10% di ribasso dal massimo) dello Standard & Poor's. Per gli amanti delle statistiche, è la prima volta dal 1962 che non si verifica un evento del genere. Il caso-Italia, insomma, è stato un pretesto per togliere un pò di denaro dal tavolo, ma non certamente la causa del tonfo.

 

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