Presto si dirà che Gesù era no Tav

La cooperativa rossa vuole la messa in cantiere, il vescovo la nega, i cooperatori si vanno a prendere il prete altrove e celebrano la loro patrona con la funzione religiosa. Come Cristo comanda, verrebbe da dire. L'incredibile cortocircuito politico-religioso, perfetto canovaccio di Guareschi ma alla rovescia, s'è verificato il 4 dicembre scorso, giorno di Santa Barbara, patrona dei vigili del fuoco, dei minatori e, per estensione, dei lavoratori che scavano le gallerie, come appunto gli operai della Cooperativa muratori e cementisti-Cmc di Ravenna, big della cooperazione nazionale, nel cantiere dell'Alta velocità a Chiomonte (Torino).
La coop aveva richiesto alla curia di Susa di celebrare messa fra le maestranze nel giorno della patrona: una cosa che accade in ogni cantiere la Cmc operi, sempre che ci si trovi in un paese cattolico. Il vicario, don Daniele Giglioli, secondo quanto riferito dalla cronaca torinese de La Stampa, aveva opposto un paterno diniego: «Ho detto soltanto che avrebbero fatto bene ad andare a celebrare la messa in parrocchia. Come fanno le altre categorie di lavoratori che hanno Santa Barbara come patrona».
All'indicazione, i vertici della cooperativa hanno alzato i tacchi e hanno combinato col prete ravvennate, che li conosce bene e li capisce. Il vicario ha alzato le mani: «Non è una questione di Sì Tav o No Tav, non vorremmo altre strumentalizzazioni: la messa è il momento in cui tutte le persone devono riconoscersi credenti al di là delle diversità...».
Una funzione democristiana più che cristiana, che non fa torti a nessuno, che accorda, blandisce, smussa. D'altra parte in curia sanno bene che ci sono i «cattolici antiTav», che avevano eretto persino un pilone mariano a ridosso del luogo dove la talpa del traforo avrebbe dovuto operare. Quando il cantiere era partito, e la madonnina era finita nell'area dei lavori, gli operai l'avevano imbragate e spostata, informando debitamente la diocesi. Bersagliati da poco spirituali improperi via Facebook.
Alcuni di quei cattolici, ai primi di settembre, avevano interrotto una funzione proprio nel Duomo susino, presente il vescovo Alfonso Badini Confalonieri, facendo un po' cagnara. Era la domenica che la Chiesa cattolica dedica al Creato, diciamo una giornata di sensibilitazione ambientalista ma senza esagerare. Una cinquantina di protestatari s'erano alzati, chiedendo di presentare un'intenzione di preghiera contro i supertreni. Poco prima, alcuni avevano tentato di infilarsi all'offertorio, accodandosi ai laici che portavano pane e vino all'altare: loro però avevano provato a offrire un paniere pieno di bossoli di lacrimogeno sparati durante gli scontri con la polizia. Monsignor vescovo s'era impuntato e la la celebrazione non s'era trasformata in un'invocazione antiTav: libera nos domine, dai treni troppo veloci. Epperò quella baraonda in luogo consacrato deve avere lasciato il segno. Molti attribuiscono al prelato la decisione di negare il consenso alla messa al cantiere. Il deputato piddino Stefano Esposito, esponente dei cosiddetti SìTav, ha scritto persino a cardinal Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, per chiedere conto del curiale diniego.
«Il prossimo passo consisterà nel dire che anche Gesù era un No Tav», ha dichiarato alle cronache, aggiungendo polemico, lui che viene dai Ds, che «i preti operai le messe le tenevano nelle fabbriche e nei cantieri. Ma chi lavora per la Tav, evidentemente, è un indegno». «Il rifiuto del vescovo di Susa e dei parroci come una scomunica dei lavoratori dei cantieri Tav è un avallo dei violenti che minacciano gli operai. A meno che vescovo e parroci abbiano a loro volta paura».», ha detto, sempre a La Stampa, Silvio Viale, presidente dei Radicali Italiani. Un'ipotesi, quella del timore di urtare la suscettibilità degli arrabbiatissimi oppositori al cantiere, abbracciata in toto dalla cronaca torinese di Repubblica, che ha paragonato monsignor vescovo, figlio di un ministro del Turismo in un governicchio quasi balneare di Giulio Andreotti dei primi '70, carriera alla segreteri di Stato vaticana e inviato a Susa dopo anni di onorato servizio, a un moderno don Abbondio, affibbiandogli anche la famosa frase di scherno di manzoniana memoria: «Se uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare». Attacchi che hanno smosso anche l'arcivescovo torinese, Cesare Nosiglia, in quanto presidente dei vescovi del Piemonte: «La diocesi di Susa, in comunione con i vescovi piemontesi», ha scritto in una nota, «ha sempre mantenuto una linea di impegno per promuovere vie di dialogo costruttivo».
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