Il pressing di Coppi e la spaccatura nel Pd calmano Silvio. Per ora

ROMA. Una volta messa la pistola sul tavolo, Silvio Berlusconi non ha ora interesse ad impugnare l’arma del «se interdicono il leader del Pdl cade il governo», come ha spiegato Renato Schifani. Il messaggio del capogruppo del Pdl al Senato è arrivato forte e chiaro al Pd e anche a coloro che dentro il Pdl, sino alla cena dell’altra sera a palazzo Grazioli, immaginavano possibile la vitalità politica del partito e di alcuni suoi esponenti a prescindere da quella del suo leader maximo. Non a caso è toccato a Schifani ricordare che invece tutto si tiene e che, come qualche ora dopo dirà lo stesso Berlusconi «nel Pdl non ci sono nè falchi nè colombe». Perché sono tutti con il Cavaliere. Al punto che ieri sera, con i due principali esponenti delle "colombe" e dei "falchi" (Alfano e Santanché) che ora si disputano persino le stanze della sede - il Cavaliere è andato a visi- tare in piazza San Lorenzo in Lucina i nuovi uffici del partito. Quanto sia difficile tenere fuori i problemi giudiziari del Cavaliere da quelli del governo delle larghe intese è ormai chiaro, ma Berlusconi intende tirare la corda senza romperla. Ed è per questo che ieri pomeriggio è intervenuto durante l’ufficio di presidenza per spiegare che il governo deve andare avanti, che non tutta la magistratura è cattiva ma solo una parte e che è convinto di essere assolto.
Messaggi che, come il Cavaliere sapeva e forse sperava, sono prontamente usciti dalle poco ovattate stanze di palazzo Grazioli rassicurando il Quirinale, il resto della maggioranza e forse anche le toghe, sulle pacifiche intenzioni dell’ex premier. Il tattico cambio di rotta, seguito poche ore dopo la dura sortita dell’ex presidente del Senato, è dovuto a due fattori. Il primo riguarda le rassicurazioni avute dai suoi legali. Gli avvocati Coppi e Ghedini gli hanno spiegato che essere giudicati dalla sessione feriale della suprema Corte potrebbe avere i suoi vantaggi e il nome assegnato dalla sorte sin dalla prima udienza «non è male». Non c’è dubbio che al Cavaliere più della condanna pesa l’interdizione che lo metterebbe fuori dalla vita politica. È per questo che ieri i suoi legali ragionavano sulla possibilità di spuntare un rinvio in appello del conteggio degli anni e delle pene accessorie dovuto magari anche ad una derubricazione del reato. Calcoli e vie d’uscita che Berlusconi vuol veder concretizzarsi nel giro di una ventina di giorni prima di caricare l’artiglieria. C’è però un altro motivo che ha spinto ieri il Cavaliere a moderare i toni: la situazione interna al Pd. Il partito di Epifani è in fibrillazione e una saldatura della sinistra interna ai renziani rischia di rendere più vicina la fine del governo Letta e, forse, della legislatura. Berlusconi ne è consapevole e, come già visto nei giorni scorsi, intende tirare la corda senza però strapparla. È per questo che ieri ha affidato ai suoi il compito di tenere talmente alte le istanze del Pdl nel governo in modo da non arrivare presto ad un’intesa sul pacchetto economico e fiscale al quale sta lavorando il ministro Saccomanni. Così come ha dato il via libera al sostegno ai referendum dei Radicali. Malgrado i toni soft di ieri, il Cavaliere intende continuare il pressing sino al giorno dell’udienza per mostrare che un’eventuale condanna e interdizione non colpiranno solo lui.
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