Il presidente iracheno non firma, Tareq Aziz e salvo

Dalla Rassegna stampa

«Non posso firmare un ordine del genere anzitutto perché sono un socialista. E poi perché è un cristiano, un cristiano iracheno. E infine perché è un uomo anziano, di settantaquattro anni». E così il presidente iracheno Jalal Talabani, che di anni ne ha settantasette, ha annunciato ieri alle telecamere di France 24 il rifiuto di firmare la condanna a morte stilata per crimini contro l’umanità per Tareq Aziz, numero due del regime di Saddam Hussein. La sentenza d’impiccagione, l’ultima dopo una serie di assoluzioni, gli era stata annunciata nei giorni degli scandali di Wikileaks contro amministrazione militare americana in Iraq e governo iracheno, facendo sorgere pesanti sospetti sulla natura politica della decisione. Al boia restavano pochi giorni e le speranze, per Tareq Aziz, l’ultimo sopravvissuto del vecchio regime, sembravano ormai essersi esaurite. Fino all’annuncio a sorpresa di ieri. I conti in sospeso, fra Talabani e il governo di Saddam Hussein, del quale Aziz era il braccio destro, sono lunghi e dolorosi. Leader di una delle più importanti tribù curde, Talabani si è scontrato per anni con Saddam per ottenere l’autonomia del nord dell’Iraq. Durante la guerra fra Iran e Iraq, le milizie del partito fondato da Talabani si erano schierate a fianco di Tehran e il governo Hussein-Aziz, per tutta risposta, aveva prima dato il via libera alle milizie del Pkk in fuga dalla Turchia finché queste hanno finito con lo scontrarsi con gli uomini di Talabani e Barzani; e poi, negli anni ‘90, subito dopo la Prima guerra del Golfo, Hussein aveva lanciato una campagna di eccidi di massa contro i curdi. Una campagna contro la quale Tareq Aziz non si era mai espresso e per la quale ha dovuto rispondere in tribunale. Tuttavia Talabani, che a sua volta in politica non è certo una colomba (numerosi a carico della sua famiglia gli scandali per corruzione in questi cinque anni di presidenza), ha deciso di tendere la mano al vecchio nemico Aziz. Forse, più per prestigio politico che altro. Passati gli otto mesi di tensione per la formazione del nuovo governo, Talabani si è ritrovato ad essere arbitro ultimo di un’esecuzione fra le più discusse a livello internazionale. Anche in Italia le polemiche contro Baghdad, sul caso Aziz, sono state numerose. Per attirare l’attenzione sul “Caino Tareq”, dopo anni di campagna perché si accertasse la verità sulla guerra in Iraq, il leader Radicale Marco Pannella aveva prima intrapreso lo sciopero della fame poi, in seguito all’annuncio dell’esecuzione, era passato allo sciopero della sete. Uno sciopero interrotto soltanto quando il ministro degli esteri Frattini ha accettato di viaggiare insieme a Pannella fino a Baghdad, chiedendo ufficialmente la grazia per l’ex vice-premier. Al Campidoglio, Alemanno aveva fatto appendere la foto di Aziz accanto a quella di Sakineh e Gilad Shalit soldato israeliano rapito a Ghaza quattro anni fa. Adesso Tareq Aziz potrà dormire, forse, sonni più tranquilli. Ma resta il dubbio di cosa succederà domani. Aziz è tuttora un uomo che sa troppo. Troppo sulle connivenze fra Usa e Saddam negli anni ‘80, troppo sui panni sporchi dei più influenti paesi arabi negli ultimi 30 anni, tanto per cominciare. Il rischio adesso è che, per farlo stare zitto, sia il silenzio dell’isolamento ad accorciargli la vita.

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