Il premier screditato e l'alternativa monca

Governo nel caos, un presidente del consiglio in evidente difficoltà, privo di credibilità all'estero, incapace di ispirare fiducia, dipinto dalla stampa internazionale come un clown (categoria che avrebbe qualche ragione per risentirsi: loro almeno sono divertenti); un po' tutti che consigliano l'exit strategy, anche commentatori come l'ambasciatore Sergio Romano, notoriamente moderati e non pregiudizialmente ostili. E poi la Confindustria. E lo stesso Vaticano, le parole di Bagnasco non si erano mai sentite... E perfino l'alleato di sempre, Umberto Bossi, che scandisce il tempo: a gennaio magari si stacca la spina.
Il Pdl appare sempre più un qualcosa di simile a Le Radeau de la Méduse dipinto da Théodore Géricault, ed è da credere che alla fine la coltellata finale e decisiva verrà proprio da coloro - come da tradizione - professano e promettono fedeltà incondizionata e assoluta.
Il Carroccio, ne ha data esatta e sintetica rappresentazione Europa nei giorni scorsi, si squaglia, dilaniata tra capi e capetti che si contendono apertamente la successione, mentre un Bossi stanco e malato ripete come un mantra litanie secessioniste ad un tempo logore e pericolose. Se il buongiorno si vede dal mattino, c'è da credere che il "dibattito" interno al Carroccio e gli ormai imminenti congressi provinciali saranno un qualcosa di simile ai "materassi". Le bordate della cosiddetta Velina verde, le lettere alla Padania, le telefonate a Padania libera, sono spie che la dicono lunga su quel che si agita all'interno del partito di Bossi. Si domanda la Velina verde: «Questi signori che spingono per entrare nei consigli di amministrazione di banche e imprese partecipate non è che tra un po' sostituiranno la spada dell'Alberto da Giussano con la squadra e il compasso? E il verde della Padania con quello dei bigliettoni di banca?». Evidente l'accusa e l'accusato. Se ne vedranno delle belle (si fa per dire, ovviamente).
Intanto il presidente del consiglio è impegnato nelle vicende di cui ormai tutti sembrano sapere, sussurrano e gridano. Non è tanto lo scenario disegnato da giornali come Repubblica storicamente avversi al Cavaliere; si può pure respingere con sdegno, in un impeto di malaccorto patriottismo, l'impietoso giudizio di quei covi di "rossi" che sono Financial Times e New York Times («un sinistro buffone»); e restituire al mittente il contenuto degli editoriali di Le Monde, El Pais, Die Zeit, Guardian, Indipendent: che pensino piuttosto ai casi loro. Però...
Però accade per esempio che anche Oltretevere da qualche tempo ci si interroghi insistentemente se non sia giunto il momento di cambiare destriero, perché l'edificio Pdl mostra tutti i segni di un imminente crollo. Su Bagnasco bisognerà tornare. Ma per esempio il SirIR, il Servizio Informazione Religiosa della Cei aveva già annotato che ancora non si scorge «una delegittimazione radicale all'evasione fiscale». Sia la segreteria di stato che il vertice della Cei sembrano concordare nella speranza che prima o poi il segretario del Pdl Angelino Alfano, affrancato dall'ingombrante presenza di Berlusconi, trovi il modo di allearsi con l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Speranze o illusioni che siano, è su questo che in tanti, nel Pdl e fuori dal Pdl lavorano e si impegnano. Giuliano Ferrara, con la sua prosa scintillante, ammonisce a non coltivare illusioni: «Certo, Berlusconi è molto indebolito. Si parla di successione morbida, si scavano solchi sperando che li voglia percorrere. Berlusconi, grandissimo depistatore e baro di quattro cotte, alimenta la prospettiva di una svolta che finalmente lo escluda dai giochi, almeno come personalità che divide, che ottunde per eccesso d'odio il cervello dei suoi nemici, e indica i successori per il 2013. Ma chi gli crede? Il piano B. di Berlusconi è Berlusconi. La sua exit strategy sarà una trovata o un colpo di teatro, non una semplice decisione politica, tantomeno una decisione collegiale». È un fatto comunque che nel Pdl quella che si respira è l'aria dell'ultimo tercio: quando il toro è sfiancato dalle banderillas dei picadores, e il matador si prepara al colpo finale.
In questo scenario, il Partito democratico. Un interrogativo cruciale lo pone Emanuele Macaluso sul Riformista: «Può una forza politica che si ripromette di governare l'Italia presentarsi senza un progetto fondato su una strategia leggibile da tutti?... Aspettare che cada il governo, che Berlusconi esca dalla scena politica e dire "poi vediamo", è un errore. Anche perché Berlusconi azzoppato resta dov'è, e non si dice agli italiani cosa si propone in alternativa allo sfascio berlusconiano. Cari compagni e amici, l'ora delle furbizie è finite. L'Italia scivola verso un baratro economico sociale e civile: dite a tutti cosa fate e cosa volete fare per il paese. Ora, non domani».
Pier Luigi Bersani, il cui intelligente realismo non manca, affinato dall'esperienza del concreto amministratore perché, oltre a prestare l'attenzione che presta a Casini e a Vendola, a Di Pietro e ai "movimenti", non dedica anche attenzione a quello che Marco Pannella e i radicali dicono e fanno? È sicuro che nel pantheon democratico, non debba, non possa esserci spazio per i Salvemini e gli Ernesto Rossi, i Benedetto Croce, i Mario Pannunzio, i Romolo Murri, gli Ignazio Silone, i Leonardo Sciascia e tutta la "famiglia" radicale di ieri e di oggi? Le cronache, anche quelle recenti, non sono sufficienti a dimostrare quanto quella "famiglia" sia stata importante e decisiva per il bene di tutti, capace com'è stata e com'è di garantire riforme che hanno "segnato" vittorie di progresso per tutti, anche per chi le ha avversate?
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