Il Premier: disegno contro di noi. Così ho perso dieci punti

«Mi hanno fatto perdere tre punti nel gradimento personale e dieci punti nel gradimento del governo. Ora basta! Basta con le carte bollate e i ricorsi, spiegherò io agli italiani cos'è successo,
che c'è stato un disegno contro di noi, qualcosa di organizzato che ha coinvolto sia la Lombardia che il Lazio...».
Un fiume in piena. Chi ha provato a fare osservazioni, a Palazzo Grazioli, è stato travolto da quella furia che conosce bene: il Cavaliere che ha preso una decisione va avanti come un treno, convinto in questo caso che non ci sia più tempo per esaminare la situazione, per fare riunioni, per dare ancora gli elettori l'immagine scomposta di un partito che non sa fare le liste e di un governo (ancora peggio) che non è in grado di metterci una toppa nemmeno per decreto legge.
Nessun rinvio delle elezioni dunque. Non vuole nemmeno sentirne parlare. Gli avvocati vanno lasciati al loro lavoro. Se produrrà frutti utili bene, viceversa poco male: si va avanti comunque, e da subito, con la campagna elettorale. È questo quello che ha deciso ieri il presidente del Consiglio. Doveva tornare a Roma oggi, ha anticipato di un giorno. La decisione l'ha presa sull'onda dell'incavolatura per la decisione del Tar. Il decreto non è servito a nulla e ora il capo del governo si chiede anche di quali uffici giuridici dispone l'esecutivo, quale lavoro sia stato realmente fatto di concerto con il Quirinale: domande legittime visto che un giudice amministrativo ha detto, in sostanza, che la norma interpretativa urgente è stata scritta in modo sbagliato, in riferimento a una legge che ha nulla a che fare con il Lazio.
Oggi Berlusconi terrà una conferenza stampa. Dirà agli italiani come sono andate le cose dal suo punto di vista, accuserà i magistrati, farà riferimento a quelle presunte prove di una discriminazione che ieri ha pubblicato il Giornale edito dal fratello: due pesi e due misure, in tema di bolli e di firme sulle liste, per la lista di Formigoni e per quella di Penati.
Sarà l'avvio ufficiale della campagna elettorale. Una grande manifestazione nazionale, forse il 20 marzo, a Roma, avrà il compito di suggellare i messaggi. Tredici candidati governatori dovrebbero affiancare il capo del governo sul palco: un patto nazionale comune, senza distinzioni geografiche; dovrebbe essere siglato di fronte alle tv per dare l'idea di un partito unito, che sa respingere le accuse, superare le difficoltà, proporre agli italiani un'unica ricetta, da Nord a Sud.
Restano sotto il tappeto, come la polvere che si vuole nascondere, i conflitti interni al Pdl. Per il Cavaliere sono conti che andranno regolati dopo il voto. Per ora e per tutti il messaggio è quello dell'unità: pensare alla campagna elettorale e a nient`altro. Eppure lui stesso a qualcosa ha già pensato se da casa sua filtrano indiscrezioni che vorrebbero il Pdl del Lazio commissariato, dopo la tornata elettorale.
Nessuna conferma ufficiale, è scontato. Ma della determinazione del capo del governo vedremo nelle prossime ore solo una faccia; l'altra, quella che ieri mattina inveiva in privato contro «una classe dirigente incompetente», non la vedremo. Una «classe dirigente», che sta ai vertici del suo partito e che gli ha rappresentato la situazione del Lazio, che con i suoi limiti avrebbe contribuito alla formulazione di un decreto inutile, controproducente, capace soltanto di cercare uno scontro istituzionale e una perdita di consensi. Un risultato inaccettabile.
Ieri sera, all'ora di cena, la campagna elettorale era già iniziata. E Berlusconi andava all'attacco in un videomessaggio apparso sul sito web dei Promotori della Libertà: «Si è cercato di estrometterci dal voto per le regionali in Lombardia, nella città di Roma e nella sua provincia. Vogliono impedire a milioni di persone di votare per il Pdl. È un sopruso violento e inaccettabile, che in parte abbiamo respinto. A Milano, sia pure con un ritardo di una settimana, la nostra correttezza è stata pienamente riconosciuta. A Roma, invece, abbiamo subìto una duplice ingiustizia. Ai nostri incaricati, che erano presenti in orario nell'ufficio preposto, è stato impedito di consegnare le liste del Pdl da coloro che hanno il dovere di ritirarle».
«Poi il Tar ha completato l'opera - ha aggiunto il premier - respingendo non solo il nostro ricorso, ma anche l'invito che il Presidente della Repubblica aveva lanciato con una propria lettera, affinché il diritto di voto, attivo e passivo fosse garantito nei confronti di tutti i contendenti, compresa la maggiore forza politica in Italia. Così le elezioni del 28 e 29 marzo ci vedono contrapposti a una sinistra che, invece di misurarsi democraticamente con il voto, scende in piazza seminando menzogne, invidia e odio».
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