Il predatore padano

In quella piccola Yalta d’Italia che da ieri sera è diventata Arcore, Umberto Bossi si è presentato con il figlio Renzo, la famosa trota, ed è stato il trionfo di un familismo ruspante che, austriacante o celtico o
dalmata o veneto che sia, è innanzitutto animale: il pasto della bestia predatrice condiviso con la prole. Tanto più che Berlusconi e i Bossi hanno messo l’ Italia su un tavolo di anatomia patologica per segarla a pezzi, per spartirsi il potere che al Nord è ormai Padania e al Sud è Gomorra: da un lato la produzione della ricchezza e dall’altro la dissipazione della ricchezza.
Mai dal 1994 ad oggi la premiata ditta B&B era stata così sbilanciata a favore della Lega. Comunque lo si giudichi, re della truffa o genio della politica, Umberto Bossi è dunque per la prima volta il vero padrone del governo, il burattinaio di un’alleanza che benché sicuramente leale è già un’ipotesi di futuro. La Lega infatti ha un’idea dell’Italia che comprende e supera il berlusconismo, e non solo perché è un partito pulito che non ha le collusioni mafiose e non ha gli interessi privati del Pdl che è invece il partito del padrone, della concezione patrimonialista delle Istituzioni, della postribolizzazione della politica.
Il punto è che la Lega è un partito territoriale e non personale, un partito di classi sociali e non di interessi privati, è il partito della pancia, è la rivincita di Guicciardini su Machiavelli ma anche di Giannini su De Gasperi (o su Togliattì, se preferite), è l’antipolitica nativista dei lumbard contro l’antipolitica dell’affare e del malaffare berlusconiani.
Certo, può sembrare paradossale dirlo oggi dopo la consacrazione di ieri sera. Ma la verità è che, al di là dei rimpasti e della promessa di candidare Bossi a sindaco di Milano, è il peso politico ed elettorale che negli ultimi anni si è ribaltato. E Berlusconi, che credeva di aver stipulato l’atto d’acquisto di una ditta in fallimento, si ritrova nelle mani dell’azionista di minoranza. Il contratto politico con la Lega è diventato per lui un’alleanza mortalmente pericolosa, come l’alleanza tra i fascisti e i liberali conservatori, tra Mussolini e Croce. Berlusconi che la stipulò per cibarsi della Lega adesso potrebbe venirne travolto. Pensava ad un affare, come fosse una transazione tra Mediaset e, che so?, la Snia Viscosa, ma si è risvegliato nei panni del parente povero.
Il pericolo, perla destra e per il Paese, è ovviamente di essere caduti dalla padella nella brace. La grande riforma costituzionale affidata a Bossi e a Calderoli potrebbe fare tutt’uno con la disunità d’Italia, potrebbe diventare la realizzazione della famosa battuta di Metternich sull’Italia espressione geografica: nessuna consistenza reale, istituzionale, politica ed economica ma appunto soltanto geografica. D’altra parte Metternich era austroungarico, protopadano, anzi urpadano, disprezzava l’Italia che gli pareva un grattacapo intrattabile e fastidioso. Anche a Bossi, con la sua sottocultura antirisorgimentale, l’Italia non interessa: gli importa il cortile di casa, si batte per i condomini bianchi e cimiteriali di Erba, il suo capolavoro geopolitico è la Padania uscita da queste ultime elezioni regionali.
E poi c’è il razzismo, che non è soltanto etnico ma anche regionalista. E’ vero che della vecchia Lega per adesso c’è invita solo un umore; il razzismo ridicolo; ha preso strade più serie e dunque più inquietanti, persino istituzionali, e il federalismo fa ormai parte della retorica di tutti i partiti, anche dei più tradizionali. Ma forse oggi non c’è più bisogno di predicare la secessione che è purtroppo operativa realmente come dimostrano i tassi di disoccupazione, gli indici di vivibilità delle città del Nord e del Sud, la degradazione del territorio meridionale, lo smaltimento dei rifiuti al Nord e la loro inossidabile ubiquità nelle metropoli disastrate del Sud. E infine, come ha più volte raccontato Ilvo Diamanti nelle sue mappe d’Italia, le amministrazioni leghiste sono tra le più efficienti del Paese, simili a quelle delle regioni rosse nella Prima Repubblica.
Non c’è dubbio che Berlusconi è ancora un uomo d’affari accorto ed efficace. Come ha dimostrato anche ieri sera continuerà a trattare, a firmare accordi, a esercitare la sua proverbiale capacità diplomatica e a trovare intese, molto prosaiche, nel mercato della politica. Ma i suoi accordi sono sempre e solo al servizio dei suoi interessi privati, delle leggi ad personam, degli affari aziendali. Insomma qui non è più in gioco la lealtà politica di Bossi il quale non ha bisogno di ricorrere alle antiche arti dell’imbroglio, di cui negli anni passatisi mostrò maestro ribaltando tutto quello che era ribaltabile. Bossi si fida perché capisce che Berlusconi sta lavorando per lui. È Berlusconi che spinge la destra italiana a raggrumarsi e a rassodarsi nella Lega. Fini lo ha capito, il suo "FareFuturo" ha lanciato l’allarme. Fini, che ha lavorato per ridimensionare Berlusconi a favore di una destra nazionale laica e non più eversiva sa che ad Arcore stanno mettendo in scena il canto del cigno berlusconiano. E non vuole «morire leghista». E però non è Fini a smascherare Bossi ma suo figlio Renzo, al quale ieri sera è stata impartita una lezione di caccia. Il padre lo sta addestrando al combattimento politico dei prossimi mesi, quello contro il fedele alleato da logorare, dentro un programma educativo più significativo e chiaro di tutte le riforme settentrionaliste della ministra Gelmini.
È Renzo la verità del padre Umberto. Altro che Padania! Altro che celodurismo! La nuova destra di Bossi è "pezze e core": altissima, purissima terronia.
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