Povera Italia

Il presidente del Consiglio non può denigrare le istituzioni del suo paese, non in patria né meno che mai all’estero. Non può perché ne fa parte, ha giurato a loro lealtà, ha il dovere di farle funzionare con equilibrio e nel rispetto reciproco. E non può perché così getta fango sul suo paese, vi dichiara morto lo stato di diritto, lo descrive come una repubblica delle banane dove è in corso un colpo di stato. Dispiace dirlo, ma ieri Berlusconi si è comportato come Fabrizio Corona, che di fronte a una sentenza di condanna ha detto che si «vergogna di essere italiano».
Se anche le cose stessero come dice il premier, suo dovere sarebbe agire con i poteri di cui dispone, non denunciarlo in un comizio davanti ai governanti di mezza Europa. Un leader politico che ha stravinto le elezioni, la cui maggioranza parlamentare è senza precedenti, non può ripetere da quindici anni che bisogna cambiare la Costituzione per riequilibrare il rapporto tra potere giudiziario e potere legislativo, senza averci mai nemmeno provato.
Del male che denuncia, il primo responsabile è lui, che ha governato per otto anni su quindici ed è stato il capo indiscusso dell’opposizione per i restanti sette (dei tre Capi di Stato «purtroppo di sinistra» di cui si è lamentato, uno, Carlo Azeglio Ciampi, è stato perfino eletto con i suoi voti). Per onestà, il premier avrebbe dovuto confessare al suo qualificato pubblico che né in questa legislatura né nell’altra ha avuto «le palle» di introdurre la separazione delle carriere o l’immunità parlamentare, perché sa che la sua maggioranza si spaccherebbe e perché teme che il popolo lo boccerebbe nel referendum. Avrebbe dovuto dire che i suoi roboanti annunci di riforma per ora si chiamano «processo breve» e «impedimento lungo», le solite pezze a colore sui suoi processi.
Di più: con l’intemerata di Bonn, Berlusconi ha chiuso la strada anche alle più timide speranze di quel dialogo costituzionale che dice stargli tanto a cuore, seppellendo - come gli ha ricordato Napolitano, nel silenzio assordante di Schifani - il voto bipartisan del Senato di appena qualche giorno fa.
Perché Berlusconi l’abbia fatto è incomprensibile dal punto di vista della logica politica e dei suoi stessi interessi. Da Fini erano venuti in questi giorni chiari segnali di tregua, il via libera alla legge sull’impedimento, un voto compatto contro l’arresto di Cosentino, una gestione filo-governativa della vicenda della finanziaria.
Nell’opposizione cominciava a farsi sentire la voce di chi non accetta di mettere sempre l’odio per Berlusconi davanti alla necessità indiscutibile di correggere le storture del nostro sistema giurisdizionale, non ultima quella che ha consentito a un pentito, in un’aula di tribunale, di dire che il presidente del Consiglio ha un passato di collusioni con la mafia. La deposizione di Spatuzza aveva addirittura rafforzato il premier, quasi “coperto” dall’enormità delle accuse rivoltegli. Il presidente della Repubblica aveva esercitato ampiamente il suo dovere di richiamo a tutte le istituzioni, a Berlusconi ma anche ai magistrati, perché si tornasse a rapporti istituzionali corretti.
Perché, allora, questo scatto da uomo braccato, alle corde, disperato? Nell’uscita di Berlusconi ci può essere la volontà di prendersi una rivincita internazionale rispetto a tutto quello che la stampa estera ha scritto in queste settimane di lui. Ma la spiegazione non può essere così semplice. Berlusconi non è l’istintivo che vuole far credere. È un politico esperto, e sa sempre cosa dice. A Fini che gli ha chiesto di chiarire, visto che del Ppe fa parte pure lui, ha risposto che non ha niente da chiarire e che è stanco di ipocrisie. Quella di ieri è stata dunque una scelta meditata. Le possibilità sono due. O il premier sa che sta per arrivare qualche colpo giudiziario anche peggiore di quelli conosciuti finora (oggi, tra l’altro, depongono i Graviano). Oppure ha deciso di andare allo scontro finale, e cioè di tentare un blitz sulla Costituzione anche mettendo in conto la rottura con Fini e il voto anticipato.
Quello che è certo è che da due mesi, da quel 7 ottobre in cui Berlusconi disse esattamente le stesse cose dopo la sentenza della Consulta che bocciava il Lodo Alfano, il premier vive in uno stato di impedimento politico e nervoso, che ha fatto sparire tutta l’attività di governo nel gorgo della sua lotta mortale con la magistratura. Francamente, altri tre anni così sarebbero un calvario e una perdita di tempo.
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