Poteri forti

Dalla Rassegna stampa

I "poteri forti" sono tornati di moda. Da settimane si discetta su Mediobanca e Generali, usando il 
solito doppio metro: da un lato, nel descrivere i fatti, si usano solo gli  strumenti del gossip e della dietrologia; dall’altro, per esprimere giudizi, si applica il principio che gli amici sono i "buoni" e i nemici i "cattivi". Per esempio, abbiamo assistito - immagino con un certo sgomento da parte di chi contrariamente al sottoscritto, conserva ancora un’idea "alta" della stampa anglosassone - alla martellante campagna del Financial Times e di qualche penoso imitatore nostrano tesa a stabilire chi avrebbe dovuto decidere se e come rinnovare i vertici delle Generali. Come se non ci fosse che un solo soggetto titolato a prendere questa decisione: gli azionisti. Nello specifico, si trattava di valutare se Antoine Bernheim, 86 anni il prossimo 4 settembre, potesse ancora continuare a svolgere le sue funzioni di presidente che, come recita l’articolo 32 dello statuto della compagnia triestina, sono ben lungi dall’essere di natura simbolica. E come il buon senso suggeriva, il maggiore azionista di Generali, Mediobanca, si è assunto la responsabilità di chiedere all’anziano banchiere francese di assumere la presidenza onoraria e di candidare al suo posto Cesare Geronzi. L’azionista principale ha scelto il suo presidente per la presidenza della sua principale società partecipata. Tutto normale, metodo e merito della scelta. Con buona pace di chi ha usato aggettivi drammatizzanti per descrivere il fatto. Certo, si può benissimo pensare che Geronzi non sia la persona giusta - d’altra parte chi lo sostiene lo aveva già detto quando l’ex numero uno di Capitalia prese il posto di Vincenzo Maranghi a Mediobanca - solo che si dovrebbe spiegare il perché, mentre quello che non si dovrebbe fare è descrivere la candidatura come un arbitrio moralmente inaccettabile. 
Tuttavia, la scelta è fatta, e salvo improbabili sorprese l’assemblea di Generali l’approverà. E allo stesso modo, i soci di Mediobanca hanno già individuato il successore di Geronzi a piazzetta Cuccia: Renato Pagliaro. Una scelta di buon senso, all’insegna della continuità. Dietro la quale è impossibile leggere alcuna trama, tanto meno quella che è stata definita il "ritorno" dei "Maranghi boy’s". Primo perché né 
Pagliaro né Alberto Nagel - i due uomini che Maranghi aveva fatto crescere di più all’interno del management della banca d’affari - se ne erano mai "andati", visto che sono stati entrambi premiati con l’arrivo proprio di quel Geronzi che secondo una certa letteratura sarebbe stato l’Attila che avrebbe azzerato tutto ciò che ricordava il suo predecessore. In secondo luogo, perché la Mediobanca che fu di Enrico Cuccia e che con ostinazione fuori luogo Maranghi aveva cercato di far sopravvivere a se stessa, non esiste più. 
Nel frattempo si è trasformata. Potremmo dire che si è "secolarizzata". Non è più il salotto buono, la stanza di compensazione degli interessi, il "potere forte" per eccellenza. Oggi è moderna banca d’intermediazione finanziaria e d’affari, ha strumenti di mercato che non aveva per raccogliere il risparmio, come "CheBanca", tratta con il grande gruppo come con quello medio-piccolo, guarda alla dimensione internazionale come mai prima. Ma soprattutto ha stabilizzato l’azionariato e i rapporti tra i tanti e molto diversificati soci, nel quadro di una logica che non è più quella della dicotomia "amici-nemici" che un tempo predominava. Detto questo, della vecchia Mediobanca manca la capacità di fare sistema che essa aveva. E mai come in questa fase, in cui il capitalismo italiano ha affrontato la crisi mondiale avendo già perso alcune delle frecce al suo arco (le grandi imprese) e ora sta affrontando il dopo crisi lasciando sul campo molte imprese medio-piccole che non ce la fanno, si sente il bisogno di chi sappia fare operazioni di sistema, aiutando la concentrazione e organizzando le filiere nell’esistente ma anche promuovendo il nuovo che si ritiene strategico. Geronzi è l’uomo più adatto a svolgere questo lavoro. E’ anche l’unico capace di collegarlo a quello di altre realtà. Ma sa anche che, in queste condizioni di finanza pubblica, il limone dello stato è già spremuto. E allora, nel privato, chi meglio di Generali è nelle condizioni di essere la "vecchia-nuova Mediobanca"? Nessuno. 
Tanto più, poi, se si potesse avvalere fino in fondo delle sinergie - negli ultimi anni colpevolmente molto ridotte - con Mediobanca stessa. E non è azzardato pensare che l’arrivo di Geronzi a Trieste possa favorire la ricostituzione del tandem, magari spingendosi fino al punto di fondere Generali e Mediobanca. Uno scenario che sarebbe di grandissima utilità per l’Italia e il suo capitalismo da ricostruire e ridefinire. Salvo pensare, e qualcuno purtroppo ancora c’è, che il "sistema paese" sia cosa brutta e cattiva. 

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