Posto fisso il modello anni '50

Bella la pagina di Repubblica di ieri che, con una grafica accattivante, mostrava chiaramente al lettore quanti modi perfettamente legali ci sono oggi in Italia per sottopagare il lavoro precario di ogni genere e grado. Per la precisione sette modelli contrattuali e naturalmente nessuno di essi prevede il famoso articolo 18.
Eppure la loro codificazione parve a tutti un passo avanti rispetto al lavoro brutalmente in nero. Resta comunque la poco invidiabile peculiarità del nostro paese, l'unico al mondo nel quale il lavoro a termine è pagato meno di quello a tempo indeterminato. Insomma la vita del precario non sarà monotona ma è sicuramente povera. Giusto evidenziare che in quelle condizioni strappare un mutuo in banca è impossibile. Ma l'esempio, molto usato, è anche rivelatore di una cultura che spiega le reazioni alle spiritosaggini governative in tema di posto fisso. A che pro un mutuo se non per l'acquisto di casa? Un paese che vede già l'80 per cento proprietario di una casa ha senza dubbio ormai questa cultura radicata. E a radicarla è stata la politica fin dagli anni 50, quando la Dc di Fanfani creò dal nulla un esercito di padroni di casa a basso costo su mutui generosamente concessi sulla base di posti pubblici e para-pubblici decisamente gonfiati.
I "posti fissi ", appunto. A suo modo un modello di sviluppo. Che da tempo ci si ritorce contro, senza che una cultura diversa sia maturata. Ci sarebbe voluta una svolta politica a propiziarla.
La tecnica non basta.
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