Porpora: addio Marcellona eri l'icona dei trans

Dalla Rassegna stampa

 

«Corri Porpora, corri, Marcella è in coma». Nella sede del Mit, movimento transessuali italiani, retto da Marcella Di Folco e Porpora Marcasciano, la mattina di lunedì scorso il telefono squilla. Porpora corre e appena entra nella stanza Marcella esclama: «Porpora! Sei qui». Il vocione ha il timbro di sempre, ma il tono è più basso. Per l'ultima volta Marcella fa riecheggiare dentro la sua anima grandiosa la voce che poi viene fuori vibrante, una voce da imperatrice malinconica. «Non si può dire che si fosse svegliata, però mi ha riconosciuto e ha guardato anche Regina Satariano che era lì con noi. Poi si è protesa in avanti e mi ha abbracciato», dice Porpora, a casa sua, dopo i funerali che si sono tenuti venerdì scorso. Succede, sono i riflessi di una vita, 25 anni passati insieme, Marcella e Porpora a far crescere il Mit: il consultorio, l'unità di strada, la casa alloggio. Succede, anche se stai andando via. Ti giri un attimo, fai i gesti di sempre. Resti in bilico. «Porpora! », e torna il suono che ogni mattina scandiva l'inizio delle giornate. Poi come un treno che si allontana, una parola ritmata e sempre più fievole: «Disposizioni, disposizioni.... disposizioni...». «Marcella non ti preoccupare». «Era tranquilla», dice Porpora, consolandosi. «I medici l'hanno accompagnata bene, fino alla morte». Se l'ultimo saluto resterà indelebile nella memoria di Porpora, altre immagini non l'abbandoneranno. «Dopo, quando la vestivano, il corpo grandissimo inerme, le mani esperte che lo giravano e lo rigiravano... mi ha dato la precisa sensazione che Marcella non c'era più». Sul volto una espressione calma, la testa avvolta dal turbante nero che amava tanto, poi gli orecchini, la collana di perle delle ultime grandi occasioni, il trucco non carico ma vistoso come le sarebbe piaciuto. «Alla camera ardente in Comune c'erano migliaia di persone, è stato degno di lei». Come stai Porpora? «Sono stonata». Un quarto di secolo percorso insieme. «Ho cominciato a frequentarla 26 anni fa. Ero la segretaria del mit Lazio. A Bologna nel 91 eravamo vicine di casa, poi cominciò l'esperienza del consultorio. Mi chiesi: cosa fare? Decisi di starci. Come ora ho deciso di raccogliere il lavoro fatto, anche se in primavera dopo il congresso e la rassegna del cinema, ho pensato di mollare». Un quarto di secolo con Marcellona a fianco, una icona, una vetta maestosa. Una montagna. «Mi fa paura la parte tecnica organizzativa che ha sempre gestito lei. Lei era Marcellona. Con i suoi 170 chili, un donnone con la parrucca, era felliniana, il tono della voce baritonale, la personalità imponente». Porpora non fugge, ogni giorno si «salva» con levità. «Quello che ci salvava nel rapporto era la grossa autoironia, il segreto di non prendersi mai troppo sul serio. Ci chiamavamo "brutta frocia", litigavamo almeno una volta al giorno, lei sapeva e sentiva che in me trovava una alleata». E ora? Al Mit era la Di Folco, le dedicheremo la casa alloggio, i politici presenti pensavano a una targa». E poi?
 
IL «MIT» CUCE IL DIALOGO
«Si ricomincia. Il Mit a livello locale e nazionale è l'associazione di mezzo, che cuce e ricama un dialogo diretto e allargato. Faremo un direttivo con dieci saggi, puntiamo alla qualità dei servizi, consultorio, sportello Cgil, casa alloggio, unità di strada, riduzione del danno nel mondo trans. Pensiamo a una rete nazionale. Già lavoriamo in numerose realtà con il Gruppo Abele e altri». E il futuro che Marcella avrebbe voluto? «Ne abbiamo parlato tanto». Vieni cara Marcella. Resta. Continua con il tuo vocione a dare «disposizioni, disposizioni..., disposizioni...».

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