Polveriera Darfur

Dalla Rassegna stampa

Il lembo di deserto punteggiato da capanne e tende azzurre scorre lento sotto lo sguardo di chi, sul volo delle Nazioni Unite partito da Khartoum, sta per atterrare ad Al Fasher, capoluogo del Nord Darfur. Dall`alto Zam Zam camp (la più grande installazione umanitaria dell`area che accoglie oltre 100mila profughi) ricorda un campo di concentramento, attraversato da stradine strette che portano a ripari rimediati. Si estende per chilometri, ed è solo uno dei tanti centri di accoglienza che da oltre sei anni ospitano gli sfollati fuggiti dagli attacchi dei janjaweed, le milizie arabe che nella regione - secondo le accuse della Corte penale internazionale - hanno compiuto massacri in nome del governo sudanese. Basta questo colpo d`occhio per capire che i 18 elicotteri, richiesti a più riprese dal segretario generale dell` Onu per la forza di peacekeeping, sono fondamentali per la sicurezza e la protezione di chi vive e opera in un`area grande quattro volte l`Italia. E proprio dal nostro paese dovevano partire due velivoli da trasporto e un piccolo contingente. Tutto finanziato: 6 milioni di curo per sei mesi di attività sul campo. Eppure né i mezzi, né i militari italiani sono mai arrivati ad El Fasher, dove ha sede il Comando. A confermarlo un ufficiale Unamid che spiega: "I visti per i componenti del contingente non sono mai stati concessi. Da Khartoum non hanno dato 1`ok alla missione". Quello delle autorizzazioni negate dal governo sudanese a militari e operatori umanitari `non africani` è un refrain che si ripete spesso. Il regime del presidente Omar al Bashir, per garantire il dispiegamento dei peacekeeper, pose la condizione che non fossero impiegati occidentali. Ed è stata questa limitazione a determinare il ritardo e l`inefficacia di Unamid: a due anni dal via libera del Consiglio di sicurezza è ancora al 75% delle sue potenzialità. Per `invogliare` Bashir a cambiare atteggiamento, Obama ha annunciato una nuova strategia nei confronti del Sudan. In campagna elettorale l`allora candidato democratico alla Casa Bianca aveva toccato spesso la questione Darfur, annunciando un inasprimento delle sanzioni e impegnandosi a isolare il regime. Oggi, la svolta. Verso una linea meno dura, pragmatica, usando `incentivi e pressioni` in un estremo tentativo di dissuadere Khartoum che, forte dell`appoggio della Cina (suo principale partner commerciale), porta avanti una melina politico-militare che a sei anni dall`inizio della crisi rende difficile una totale cessazione delle ostilità tra le parti in conflitto. Washington, però, non rinuncia a quella definizione tanto indigesta ai sudanesi: genocidio. Obama fa capire che gli States su questo punto non hanno cambiato idea: il massacro delle etnie del Darfur continua ed è pianificato. Ma a differenza di Bush è pronto a trattare e lascia aperto un varco: se Bashir mette fine alle violenze e agli abusi in Darfur e nel Sudan meridionale, promuove elezioni libere e dimostra che il suo non è più un `paese canaglia`, possono aprirsi i presupposti per la revisione del meccanismo delle sanzioni. Obama cerca rassicurazioni per l`appuntamento elettorale del 2010 e il `rispetto` dell`accordo tra il National congress party di Bashir e il Sudan People`s Liberation Movement, principale movimento politico-militare della regione meridionale che nel 2005 ha sancito la fine della guerra ultra ventennale tra Nord e Sud. Solo con l`indizione del referendum nel 2011, che dovrebbe portare il Sudan meridionale all`indipendenza, sarà efficacemente attuato. Il rischio che il termine ultimo non venga rispettato suscita la preoccupazione di tutta la Comunità Internazionale e delle forze politiche che si contrappongono al governo sudanese. "Non ho alcuna fiducia nel processo elettorale che dovrebbe portare alle presidenziali e alle legislative del 2010, tanto meno nel referendum - afferma Hassan Al Turabi, leader storico del Popular congress party e grande oppositore di Bashir - É tutto fermo e non credo che le urne saranno mai aperte. Il governo sudanese non ha fatto nulla per preservare l`unità del Paese. Anzi. Ha alimentato le tendenze secessioniste dell`Splm che, però, non credo sia capace di governare un Sud Sudan indipendente. Bashir conta su questo, e se può rallentare il processo elettorale e referendario lo farà". L`elemento più preoccupante resta però la suddivisione delle risorse su cui hanno grande interesse sia i cinesi, sia la Libia, grande investitore nel paese confinante. Le aree più appetibili sono Abyei, una regione ricca di petrolio con uno status amministrativo speciale ed autonomo, e il Sud Kordofan. E le tensioni nell`area non mancano, essendo abitata sia dagli stanziali Dinka, etnia vicina all`Splm, sia da gruppi nomadi, in particolare Misseriya e Nuer, filogovernativi. Proprio a causa degli scontri etnici, ma anche per il controllo di acqua e terra, si sono susseguiti negli ultimi mesi eccidi (il più grave poche settimane fa, oltre 400 vittime) nei villaggi contesi che non hanno risparmiato donne e bambini. Il Sud Sudan è una polveriera pronta ad esplodere che la Comunità internazionale sta cercando di disinnescare.

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