Politica timida e poteri forti

Se la politica non fosse intimorita dal complesso mediatico- giudiziario si porrebbe (almeno) una domanda: al di là dei casi giudiziari — sui quali il Corriere si è già espresso: i processi vanno fatti senza sconti per nessuno, ma i «teoremi» sono un pericolo per la libertà di tutti — si vuole sconfiggere Berlusconi come uomo politico o come proprietario di Mediaset? Le polemiche che hanno coinvolto Mediaset — società quotata in Borsa e partecipata da altri investitori — inducono a ipotizzare uno scontro di poteri diverso da quello che finora si è affacciato sui media. La politica, parafrasando Marx, sta implodendo sotto il peso delle contraddizioni capitalistiche: fra grandi interessi economici in conflitto — non secondariamente per il controllo delle telecomunicazioni che riguarda anche Rai e Telecom — cui fanno da cornice, sul piano parlamentare, il confronto fra il «partito del rigore» e il «partito della spesa pubblica » e, su quello sociale, fra il «Paese produttivo» e il «Paese parassitario». E' in corso una guerra per la redistribuzione del potere fra capitalismi, sulla quale si è innestato un confronto politico-sociale per la redistribuzione delle risorse pubbliche. Sotto il profilo sociologico, si potrebbe dire che ci troviamo di fronte all'accelerazione del processo di modernizzazione del Paese. Che reagisce con gli strumenti che ha: culturalmente e istituzionalmente inadeguati.
Nella guerra fra capitalismi e nel confronto sulla spesa pubblica, la parte più impegnata politicamente della magistratura — la sola isola ideologica rimasta, all’interno dello stesso sistema giudiziario, e nell'arcipelago degli interessi «reali» in competizione — rischia di recitare il ruolo della mosca cocchiera e la politica di finire in una posizione di totale subalternità.
Ciò che colpisce è soprattutto il crescente imbarazzo dell'opposizione — a parte Di Pietro, che rivela semplicemente di non capire quello che sta succedendo — davanti alla crisi, all’impazzimento delle istituzioni e alle difficoltà di farvi fronte. E' come se il Pd si chiedesse se una volta al governo non gli potesse capitare la stessa sorte il giorno in cui finisse nel mezzo di una guerra fra capitalismi e mettesse mano a una riforma dello Stato. Non è neppure un caso che ad aver fatto sentire, alta e chiara, la propria voce sia solo il presidente della Repubblica che — proprio perché non parte sociale e politica in causa — ha ribadito la legittimità a governare della maggioranza uscita vittoriosa dalle elezioni e richiamato al senso di responsabilità le altre istituzioni.
Se questo scenario ha una qualche plausibilità, è evidente che ci troviamo nel mezzo di una crisi che potrebbe avere conseguenze devastanti per la nostra stessa democrazia. Sarebbe bene che incominciassimo tutti a rifletterci. Per primi noi operatori dell'informazione; ad evitare che siano gli interessi di parte in gioco a dettarci l'agenda.
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