La politica separata dall'economia

Dalla Rassegna stampa

La politica deve evitare interferenze con gli affari». È un parere categorico ribadito in una intervista all'Espresso da Giancarlo Carofiglio, scrittore di successo, magistrato pugliese, attualmente parlamentare del Pd. Messa così la questione, come non essere d'accordo? Infatti l'ho visto in televisione esporre questo concetto e subito è scattato l'applauso. Ma se avessero riflettuto è sperabile che gli spettatori di quel talk-show avrebbero capito che Carofiglio non parlava solo dei casi di corruzione. E nell'intervista si spiega con un esempio, prendendosela con Piero Fassino per la nota telefonata con Consorte. Come Berlusconi anche Carofiglio pensa che quella telefonata sia un fatto disdicevole. Solo che Berlusconi è uno che, se potesse, le cooperative le farebbe chiudere, altro che comprare banche. Ma perché mai la banca delle coop non poteva cercare, legalemente, di ingrandirsi? E perché mai l'allora segretario del principale partito della sinistra non doveva informarsi della vicenda? In nord Europa una questione del genere non si sarebbe nemmeno posta. Eppure, per Carofiglio, la politica non deve interferire negli affari. Ieri c'era sull'Unità un bell'articolo di Francesco Cundari critico su come Il Fatto deforma la figura di Berlinguer riducendolo a un moralista separatore di politica ed economia. Ma se la politica non deve occuparsi dell'economia reale, tantomeno di giustizia, ancora meno dei "principi non negoziabili", che a quelli ci pensa la chiesa, cosa gli resta mentre banchieri, preti e magistrati (le figure classiche, insieme ai generali delle vignette del primo socialismo) fanno il comodo loro? Forse è per questo che vogliono dimezzare il numero dei parlamentari.

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