La pistola che non può sparare

Non era un annuncio. E a sentire il presidente del Consiglio, nemmeno una minaccia. Insomma, l’inattesa sortita del presidente del Senato (che ieri i quotidiani hanno concordemente sintetizzato con un brusco «maggioranza unita o si vota») va derubricata, come si dice, a ipotesi di scuola: quando un governo è troppo litigioso, il danno minore è tornare alle urne. Silvio Berlusconi, infatti, non solo manifesta «stupore» per tutto questo straparlare di elezioni anticipate («mai pensato niente di simile»), ma fa addirittura sapere di considerare la guerriglia scatenatasi nel suo partito «una dialettica interna che ne accentua le capacità ideative». Meglio così: la frase sarà fatta, ma di tutto si sentiva la mancanza meno che di un’altra (per restare in tema) «legislatura breve». Molti saranno contenti, anche se non mancheranno certo i delusi. A cominciare, magari, dal direttore de «Il Giornale», Vittorio Feltri: al quale, stavolta, qualcuno ha girato una notizia fasulla, tanto da fargli titolare «Berlusconi deciso: tutti a casa».
Si fa fatica, naturalmente, a prendere per buona la versione dello stato delle cose fornita ieri dal presidente del Consiglio.
Più probabilmente, il segnale che Silvio Berlusconi ha voluto far arrivare alla agguerrita pattuglia di «dissidenti» (dissidenti sull’epilogo da dare al caso-Cosentino o sul destino del ddl in materia di «processo breve») è che la sua pazienza è vicina al limite. Non solo: come spesso accade in politica, il premier ha forse anche voluto saggiare l’effetto che avrebbe sortito una più o meno velata minaccia di elezioni anticipate. Il responso è stato chiaro: nessuno dei destinatari dell’avvertimento è parso spaventato. Probabilmente, per la stessa serie di ragioni che hanno indotto ieri Berlusconi ad abbassare - e di molto - i toni.
Infatti, la minaccia di elezioni anticipate appare, al momento, quella che si è soliti definire una pistola scarica. A indurre il premier a maggior prudenza non sono stati solo i sondaggi ricevuti e non esaltanti: una coalizione che si autoscioglie nonostante una netta maggioranza in Parlamento, raramente è premiata nelle urne. Anche il paesaggio politico che avrebbe preparato e seguito l’eventuale voto, perfino in caso di vittoria, è apparso - infatti - assai sconsolante. Tanto per cominciare, appunto, ci sarebbe il problema di come affrontare le elezioni. Dando per scontato che una resa dei conti con il presidente della Camera provocherebbe certo degli esodi dal Pdl (solo lo stesso Fini e i «finiani»?), questo renderebbe necessario tentare di riportare nella coalizione con la Lega anche l’Udc (se non addirittura il nuovo partito al quale Casini lavora con Rutelli). Ne sarebbe felice, Bossi? Il leader dell’Udc è pronto a tornare nel centrodestra, e a quali condizioni? E non basta, perché il dopo-voto aprirebbe a Berlusconi - anche se vincente, e la cosa non è scontata - prospettive nient’affatto migliori di quelle attuali.
La questione giustizia, per esempio, si riproporrebbe negli stessi termini in cui è irrisolta oggi: e onestamente, cominciare per la quarta volta una legislatura con all’ordine del giorno l’«aggressione giudiziaria» al premier, appare improponibile. In più, come la recente storia politica gli ha già dimostrato, ritrovarsi con Casini in maggioranza non è che sia poi tanto più rilassante che dover fare i conti con le obiezioni di Fini. E come se non bastasse, per Silvio Berlusconi (73 anni già compiuti) si tratterebbe della sesta candidatura consecutiva alla guida del governo: una circostanza che farebbe dell’«amico Putin» un dilettante, e che non è difficile dire se e quanto sarebbe gradita alla maggioranza degli italiani.
Queste e altre ragioni, insomma, hanno consigliato e consigliano al premier di maneggiare con prudenza la «spada elettorale». La via del voto anticipato (sul quale toccherebbe comunque al capo dello Stato decidere) non è dunque percorribile: almeno non adesso, non così e non con motivazioni che disintegrerebbero il centrodestra. E se quella via è ostruita, quale resta? È banale dirlo, ma si possono utilizzare le parole scelte ieri dallo stesso presidente del Consiglio: «Governare per i cinque anni della legislatura, così come da mandato degli elettori... e completare le riforme di cui l’Italia ha bisogno». Non c’è, insomma, da inventare nulla: solo da realizzare quanto promesso. Magari con più serenità e sedendosi con gli alleati attorno a un tavolo per rivedere l’agenda delle cose da fare. Ma togliendo da quel tavolo, naturalmente, una pistola che si è mostrata - se non proprio scarica - quantomeno caricata a salve. Un’arma inutile, insomma, e che infatti non ha spaventato nessuno.
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