Piccole lobby crescono

Piccole lobby crescono. È uno di quei casi in cui una legge a costo zero, quella sulle professioni non regolamentate, mostra uno spaccato dei nuovi mestieri adeguati ai tempi che corrono: come i “counselor”, 2.500 professionisti che «aiutano le persone a gestire, a risolvere problemi e a prendere decisioni»; o gli “arterapeuti”, specialisti che «utilizzano il linguaggio delle arti con finalità di tipo strettamente terapeutico e riabilitativo». Attività poco note, come quelle dei “clinical monitors”, che accompagnano la sperimentazione del farmaco dal laboratorio al paziente, o degli “operatori omeosinergetici”, «specialisti di medicina non convenzionale, basata sulle discipline naturali, che valorizza le risorse vitali proprie di ogni essere vivente». Lo si scopre ascoltando la relazione in aula di una delle promotrici di questa legge, la piddì Laura Froner, che insieme a molti colleghi di vari partiti, si è battuta per dare veste giuridica a questi lavori.
«Tra i professionisti raggruppati in oltre 242 associazioni, che non hanno un ordine professionale o un albo, troviamo tributaristi e grafologi, interpreti e traduttori, amministratori immobiliari, periti assicurativi, chinesiologi, osteopati e comunicatori, senza dimenticare nutrizionisti, bibliotecari, patrocinatori stragiudiziali, archeologi ed investigatori privati». Ci sono voluti tre anni per varare una legge bipartisan, per giunta a costo zero, volta a tutelare due milioni di persone che esercitano professioni non regolamentate. Come spiega il relatore della legge, il Pdl Ignazio Abbrignani, «si introduce il principio del libero esercizio della professione fondato sull’autonomia e sulle competenze.
Si consente al professionista di scegliere la modalità in cui esercitare, sia in forma individuale libera, che associata o societaria o nella forma di lavoro dipendente». Vengono anche regolamentate le associazioni che i professionisti possono costituire per diffondere il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto della concorrenza. Ma i leghisti hanno instillato una serie di dubbi, anche a proposito del rapporto con le istituzioni. «Allora - ha domandato Raffaele Volpi sono associazioni di categoria o sono delle piccole lobby? Basta che si chiamino con il loro nome».
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