Via dalle piazze in 24 ore Egitto col fiato sospeso

La fine del Ramadan segna una nuova impennata di tensione Egitto. Per i Fratelli Musulmani è l’occasione per proclamare la «seconda rivoluzione», dopo quella che ha posto fine alla dittatura di Mubarak. Ieri sono tornati in piazza i sostenitori del presidente destituito Mohammed Morsi, ma in mezzo a un imponente schieramento di forze dell’ordine. Epicentro come sempre è la capitale egiziana, dove sono state diramate misure di sicurezza straordinarie, in particolare intorno ai due sit-in più importanti, quasi degli accampamenti, nel quartiere di Medinet Nasr una sorta di campo nella piazza di Rabaa Al-Adawiya e tutto intorno alla moschea omonima - e un sulla piazza Al-Nahda, vicino l’Università del Cairo. Polizia ed esercito circondano entrambe le aree in un’atmosfera di attesa per uno sgombero che potrebbe arrivare da un momento all’altro. I Fratelli Musulmani, che sono da oltre un mese in presidio nelle due piazze divenute simbolo dei manifestanti pro-Morsi, sanno che le autorità hanno promesso di concludere in ventiquattr’ore il ripristino della normalità. Fino alla scorsa settimana, il mese di Ramadan aveva fermato la mano all’esercito, che aveva tollerato i sit-in, malgrado ripetuti ultimatum. La pazienza è finita. Il quotidiano Al Masry Alyom, ha rivelato, e poi è giunta la conferma del- le autorità, che la polizia è pronta a intervenire. «Le truppe di sicurezza dello Stato saranno dispiegate all’alba intorno alle zone dove sono in corso i sit-in di protesta», nella zona di Rabaa, ha spiegato una fonte delle forze di sicurezza, «primo passo dell’azione per, eventualmente, disperdere i manifestanti. I sit-in saranno circondati». La decisione è stata presa durante un incontro fra il ministro degli Interni e i suoi principali collaboratori, ha aggiunto la fonte. Già durante la notte tra sabato e domenica, la piazza di Rabaa è rimasta senza corrente, in quello che i manifestanti avevano interpretato come l’inizio delle operazioni di sgombero. Numerosi posti di blocchi sono stati creati sulle vie d’accesso alla zona. In molti casi sull’asfalto sono stati posti dei blocchi, che costringono le auto a sfilare una ad una, per un eventuale controllo. Le misure di sicurezza sono state rafforzate anche a piazza Tahrir, simbolo della Primavera del Cairo, ormai lontana anche nel ricordo. In caso di sgombero i giovani pro-Morsi potrebbero provare a marciare su questa piazza. L’edizione online del quotidiano Al Masry Alyom ha riferito che gli organizzatori della protesta hanno rafforzato le barricate sul lato della piazza che dà su Youssef Abbas, mentre è aumentato il numero delle «guardie» agli ingressi. Se il governo dovesse decidere di intervenire, quindi, i manifestanti potrebbero opporre resistenza. «Sgomberare le piazze significa usare mezzi militari anche pesanti e il rischio di un bagno di sangue c’è», ha detto il ministro degli Esteri, Emma Bonino. La mobilitazione dei sostenitori dell’ex presidente egiziano non si limita alla capitale. I Fratelli Musulmani hanno invitato i manifestanti a scendere in strada in tutte le principali città del Paese, occupando le piazze e rimanendoci anche di notte. A sud del Cairo, il partito islamista Gamaa al lslamiya ha anche scatenato l’odio religioso: almeno 15 persone sono rimaste ferite negli scontri con i cristiani copti avvenuti nel villaggio di Diabeya, nel governatorato di Beni Suef.
Altro punto caldo rimane il Sinai, dove all’alba almeno 25 persone sono rimaste uccise in due operazioni delle forze di sicurezza nel nord della penisola. È stato il primo atto dell’esercito in quella che è divenuta un po’ una terra di nessuno, con molti gruppi islamisti che vi si muovono indisturbati e che ha spinto anche Israele a intervenire, anche se Gerusalemme ha smentito il raid con droni di venerdì scorso. Tre elicotteri hanno colpito la zona desertica di Sheij Zueid e sono rimasti uccisi 4 estremisti islamici. Nel mirino c’era il gruppo islamico Ansar Beit al-Maqdis, noto anche come Ansar Jerusalem, «responsabile delle uccisioni di 16 poliziotti e militari», secondo il portavoce dell’esercito, il colonnello Ahmed Aly, «e per il rapimento di sette membri delle forze di sicurezza negli scorsi mesi». Un deposito di armi e munizioni è stato distrutto. In precedenza, altri 15 militanti sono morti in un bombardamento sul villaggio di Touma.
© 2013 L'Unità. Tutti i diritti riservati
SU