Piano italiano per l’Africa

Dalla Rassegna stampa

Ogni buona notizia, che venga dall’Africa sub-sahariana, è sempre meglio affrontarla con cautela e una prospettiva di lunga durata. Ma qualcosa d’importante si sta muovendo se la Banca mondiale sostiene che in questa prima metà di secolo la regione è destinata a diventare ciò che l’India è stata nel ventennio passato, riguardo a sviluppo e crescita economica. Già entro il 2015, delle dieci economie con il maggiore tasso di crescita, sette saranno africane. Conta il punto dipartenza sempre basso di questi decolli economici; conta che il motore siano esclusivamente le commodities legate alle instabilità dei prezzi, e non l’industria o i servizi. Le materie prime generano da sole un terzo del Pil dell’intera Africa, benefici indiretti a parte. Tuttavia vorrà dire qualcosa se due terzi delle imprese internazionali considerano che investire in questo continente sia una priorità: da ora e per i prossimi dieci anni, come illustra un sondaggio dell’Economist fra 217 compagnie globali di 45 Paesi. Come crescita regionale, l’Africa sub-sahariana – 4,8% - è seconda solo all’Asia: 6,4 Giappone escluso. Per questo, e tenendo conto che la metà degli africani ha meno di 20 anni, Emma Bonino ha deciso di "riaccendere i riflettori" sul continente.

Il ministro degli Esteri ha appena concluso un viaggio in Ghana e Senegal; la settimana prossima visiterà Sierra Leone e Costa d’Avorio; seguiranno Mozambico e Angola. L’obiettivo strategico di questa "Iniziativa Italia-Africa" – la definizione è informale – è aiutare i Paesi della regione a «guardare oltre il mero sfruttamento delle risorse naturali, cogliere l’opportunità di una crescita sostenibile, diversificando le economie con investimenti mirati nei settori della formazione e dell’innovazione». Lo strumento è mobilitare l’araba fenice dalle grandi potenzialità chiamata "Sistema Italia", per dare un po’ di ordine alle molte attività in parte già esistenti ma in ordine sparso in Africa, di enti locali, università, fondazioni, imprese piccole e grandi. Ogni Paese africano ha le sue specificità.

Il Senegal offre eccellenti opportunità nelle telecomunicazioni e nel digitale: Telecom Italia è interessata a studiare a fondo il piano di digitalizzazione lanciato all’inizio del 2013 dal governo senegalese. Ma "Iniziativa Italia-Africa", che entro l’anno dovrebbe organizzare a Roma una conferenza di ministri degli Esteri, ha individuato alcuni settori comuni all’intera regione: energia e ambiente, agricoltura (l’enfasi è sull’Expo di Milano, il cui tema è l’alimentazione), cultura e infrastrutture. Riguardo a queste ultime, un business gigantesco, i cinesi hanno un ruolo primario: ma se i loro prezzi sono imbattibili, la qualità di ciò che costruiscono lo è molto meno. A ognuno di questi settori l’Italia garantirà una partecipazione politica e tecnica, pubblica e privata. Il Senegal è stato individuato come hub principale dell’iniziativa italiana. Ha una condizione politica stabile, democraticamente è fra i più maturi dell’Africa Sub-sahariana: a settembre primo ministro è diventata Aminata Tourè, una delle principali attiviste africane per i diritti civili. Il Senegal ha anche buone infrastrutture e da anni è parte dei programmi della cooperazione italiana: Emma Bonino ha appena firmato a Dakar un accordo da 45 milioni di euro in tre anni da investire in agricoltura, piccola e media impresa che tenga conto della protezione sociale e dell’uguaglianza di genere. Una trentina di milioni saranno devoluti come credito 15 come dono.

Il Ghana, l’altro Paese nel viaggio del ministro degli Esteri italiano, è una buona fotografia dell’Africa di oggi. Vi si svolgono elezioni democratiche pacifiche da oltre un ventennio; ha un ruolo geopolitico importante: 8omila soldati partecipano a una trentina di missioni di pace nel mondo; ha una crescita economica sostenibile attorno al 7%; è il secondo produttore mondiale di cacao, possiede riserve petrolifere per 1.800 milioni di barili: al largo delle coste ghanesi l’Enfi ha fatto nuove scoperte. La Banca mondiale ha stabilito che entro il 2015 il Ghana uscirà dallo status di Paese povero per entrare in quello a reddito medio basso. È un passo importante anche se il limite di molti Brics, Paesi in più evidente via di sviluppo, è quello che gli economisti definiscono "middle income trap": la trappola che rinchiude la maggioranza della popolazione a un reddito medio inferiore ai10mila dollari l’anno e che impedisce uno sviluppo sociale più diffuso e armonioso. Per questo l’Italia, come il resto della comunità internazionale, sta facendo pressione sul Ghana perché affronti le riforme e le politiche fiscali necessarie per far continuare la crescita del Paese.

© 2014 Il Sole 24 Ore. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK

Ti potrebbe interessare anche:

Lettera aperta a Cgil, Cisl e Uil Oggi, all'incontro “Lavoro, visioni a confronto: i candidati sindaco rispondono alle domande di Cgil, Cisl e Uil” avete scelto di non ascoltare le nostre risposte. Non ci avete invitato, ma ci siamo, noi Radicali, siamo fuori con Marco Cappato, anche...
Dichiarazione di Valerio Federico e Alessio Di Carlo, rispettivamente tesoriere e membro della giunta di Radicali Italiani: "Le forze politiche di ogni schieramento non hanno perso l'occasione di approvare alla Camera un provvedimento illiberale che cancell la facoltà per gli esercizi...
Dichiarazione di Marco Cappato, Presidente del Gruppo Radicale - federalista europeo al Comune di Milano, ai margini del Comitato nazionale di Radicali italiani:"Tagliare le tasse sulle imprese fa riprendere l'economia e riduce l'evasione. Tagliare le tasse sulla casa, molto meno. Ma rende più voti...