Più che la giustizia interessano le tasse

Dalla Rassegna stampa

Alcuni giorni orsono Sky ha eseguito uno dei suoi soliti sondaggi chiedendo ai telespettatori di indicare le loro priorità in materia di riforme; questi i risultati: presidenzialismo 5%, giustizia 35%, fisco 60%. Le indicazioni dei partecipanti al sondaggio non sono particolarmente sorprendenti. Le riforme costituzionali, infatti, nonostante la loro indubbia importanza hanno un modesto sex appeal: l’opinione pubblica è molto più interessata all’immediato, alle decisioni che producono risultati entro poco tempo, di quanto
non sia per i provvedimenti che spiegheranno i loro effetti in un secondo momento. Se oltre un italiano su tre si dice convinto che la riforma della giustizia sia urgente, i sostenitori di "tutto va ben, madama la marchesa" farebbero bene a riconsiderare la loro opinione. Come si possa ritenere accettabile un’amministrazione della giustizia caratterizzata da tempi biblici dei processi, innocenti in galera (la metà dei detenuti è in attesa di giudizio e quindi innocente in base al dettato costituzionale), arresti arbitrari, violazione sistematica del segreto istruttorio, avvisi di garanzia recapitati alla stampa anziché agli interessati e sistematica violazione delle leggi da parte di funzionari inamovibili e impunibili è un mistero impenetrabile.
Naturalmente, che il 60% dei partecipanti al sondaggio indichi il fisco come la priorità prima in materia di riforme, se conferma perché questo sia stato il messaggio vincente di Berlusconi per sedici lunghi anni, sottolinea anche l’inaccettabilità della totale inadempienza in materia, malgrado sette anni di governo a larga maggioranza (2001-06, 200810). La promessa del presidente del Consiglio all’indomani delle
elezioni regionali e le donchisciottesche esternazioni del ministro dell’Economia («in tre anni faremo la più grande riforma fiscale di tutti i tempi») rassicurano assai poco. Se era tanto urgente e popolare perché nulla è stato fatto sinora? Se nel 2001-06 si può sostenere che gli alleati (Udc e Ari) si misero di traverso, oggi quel problema non dovrebbe esistere: perché mai allora si sono sciupati due anni nei quali peraltro la crisi economica ha reso ancora più urgente la riforma fiscale? La triste verità è che l’accumularsi di occasioni mancate e rinvii senza giustificazione rendono poco credibili queste nobili promesse. Come se non bastasse sembra mancare del tutto la percezione corretta della direzione verso cui muovere: il problema, infatti, non è quello di passare dalla "tassazione delle persone" a quella "delle cose", anche perché queste ultime purtroppo non pagano tasse che vengono sempre inevitabilmente sopportate da persone fisiche. Né si vede perché spostare una parte del carico fiscale dall’imposizione diretta a quella indiretta dovrebbe essere considerato una radicale riforma del fisco. Quanto, infine, all’idea dell’entità, dell’imposizione precalcolata, dagli uffici delle imposte e indicata in una sorta di bollettino da recapitare al contribuente, la, sua desiderabilità si riduce considerevolmente sol che si tenga
presente la disinvolta capacità, degli uffici di pervenire a conclusioni demenziali nei loro calcoli ("bollette pazze" e simili).
Se il bollettino indica un importo spropositato, il ricorso al contenzioso tributario diventa, inevitabile, con i costi, le lungaggini, i fastidi e i rischi che sono ben noti ai contribuenti. Il nostro fisco non ha bisogno di operazioni cosmetiche ma di riforme radicali e ciò dovrebbe essere ben noto a chiunque se ne sia occupato anche solo di sfuggita. Vorrei ricordare che il nostro apparato di balzelli e tributi rende pochissimo all’erario, grava in misura intollerabile su alcune categorie di contribuenti, è incomprensibile, farraginoso e arbitrario, punisce il lavoro, il risparmio e l’investimento, scoraggia la produzione e l’occupazione. Pensare di porvi rimedio con pannicelli caldi è offensivo per l’intelligenza degli italiani.
Ho ripetutamente sottolineato su queste colonne i vantaggi che avrebbe per tutti l’adozione di un’unica aliquota, di imposta sia in termini di gettito per l’erario sia per le sue conseguenze positive sull’economia sia infine, ma non meno importante, per la correttezza, dei rapporti fra contribuenti e fisco. Quell’idea, faceva parte del programma di Forza Italia, nel 1994: a insistere perché la, presentassimo fu proprio Silvio Berlusconi in persona che mise da parte le mie perplessità e volle che costituisse il punto più significativo del nostro programma.
Aveva ragione lui come l’esperienza di questi anni ha dimostrato: i paesi che hanno adottato la "fiat tax" hanno avuto prestazioni economiche molto soddisfacenti e introiti fiscali crescenti.
Che possa muovere in questa, direzione chi continua a ritenere che la riduzione delle aliquote sia sinonimo di diminuzione delle entrate tributarie è perlomeno dubbio ma saremmo felicissimi di potere riconoscere che il nostro scetticismo era infondato.

© 2010 Libero. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK