Più attenzione alla radicalità

Noi (italiani, e di sinistra) siamo arrivati tardi al bipolarismo. Da tempo in tutti i paesi moderni, la dialettica si è via via ridotta a due tre grandi campi. Chi ci è arrivato prima, chi dopo, chi meglio, chi peggio, ma il trend è stato questo.
Le "classi" (capitalisti/proletari) e le ideologie sono state sostituite dalla società civile. Oggi la produzione della ricchezza deve soddisfare non solo la sopravvivenza, ma anche una gamma più vasta di domande trasversali (scuola, diritti, consumo, tempo libero).
Per i partiti non c’è più un solo referente sociale. Vince chi ha il miglior "pacchetto paese", nelle idee e nell’offerta generale. Meno "struttura" più "sovrastruttura", se ci si vuole riferire alla cara terminologia marxiana. Un partito come Rifondazione comunista - che in certi momenti ha raggiunto punte anche del 7 per cento - si è sbriciolata in tanti partitini che ormai non raggiungono ciascuno neanche il 2 per cento. In Puglia però c’è anche un esempio splendido di comunista, Nichi Vendola: un "estremista", un radical, ma non un minoritario per vocazione. Sa pure governare.
Ecco, anche il nostro Pd forse dovrebbe mettere più attenzione alle radicalità. Che non è, mi spiace dirlo, ciò che fa Di Pietro. Come i politici della Prima Repubblica, l’ex magistrato è salito nella carrozza del Pd,
poi è saltato giù subito appena ha raggiunto il 4,1%, lasciando la carovana. Si è fatto il suo partitino e ora sta intorno al 7%. Lucra sugli errori del Pd. Vecchia politica. I Ralph Nader non fanno mai vincere.
Prendiamo invece Beppe Grillo. In questi ultimi anni è arrivato anche lui sulla scena politica. Non voleva starci, ma ci sta. Un "provocatore", avrebbero detto i comunisti anni cinquanta, quando c’erano le classi e non la società civile. Alle recenti elezioni regionali è sceso in campo anche lui. Ottimi i risultati dove le sue liste si sono presentate, peccato che in una regione, il Piemonte, quei voti hanno fatto la differenza: sono stati i voti dei "grillini" a togliere a Mercedes Bresso i numeri per vincere. Una manciata di voti in più e la Bresso sarebbe rimasta presidente di quella regione e una regione di più a noi e una di meno a loro avrebbe accorciato di due le distanze, dando un altro sapore al risultato complessivo al campo progressista.
Il guaio grosso adesso è però che una intera fascia di terra del nostro paese - quella più ricca, quella dove ci sono le banche più importanti, quella che ha l’imprenditoria più efficiente - è governata dai leghisti e dal partito di Berlusconi. Di questo passo sarà a rischio anche l’Emilia-Romagna. La Lega ha già ormai numeri a due cifre e Grillo ha raccolto non pochi consensi. Meglio non pensarci.
Quando il Pd muoveva i suoi primi passi Beppe Grillo bussò alla porta di Veltroni. Voleva iscriversi al partito. Era una provocazione, naturalmente. Ci fu anche una polemica. Ne aveva dette di cotte e di crude sul Pd, e tuttavia voleva la tessera. Ecco, quella forse fu un’occasione sprecata. Lui voleva solo provocare, ma, a pensarci bene, forse il Pd avrebbe fatto bene ad iscriverlo. Avrebbe rotto le scatole? Bene. Avrebbe fatto degli show a ogni riunione pubblica? Mah. I comportamenti clowneschi possono divertire per un quarto d’ora, tre volte di seguito, poi stufano, sia l’uditorio, sia il protagonista degli show. E poi Beppe Grillo non è affatto un clown. Possono non piacere i suoi modi, le sue provocazioni, ma è in sintonia con una parte del paese che proprio non ce la fa a piegarsi a qualsiasi manifestazione di berlusconismo. Io ce lo vedrei bene, Grillo, nel Pd, cioè in un partito democratico, diciamo così, all’americana, che ancora oggi ha la migliore offerta politica "di sinistra" su scala mondiale (vedere alla voce Obama).
Al timone del nostro Pd c’è Bersani. Un emiliano sobrio, serio, pratico. Affidabile. Difficile fargli la guerra, non è il tipo di mettersi a far beghe, come direbbe lui stesso con quell’emilianissimo understatment che tende a non spendere troppi discorsi, benché anche lui abbia nelle sue corde pensiero e parole "forti". Bersani non è un fighter, non ama il corpo al corpo, e non so se se la senta di imbarcarsi in un’avventura difficile come quella di evitare i nostri Nader. Bisogna però uscire al più presto dalla dimensione degli ex ds e degli ex ppi.
Ai Grillo, alla frange sperse della sinistra, bisogna dare una casa più grande. Grillo non deve tornare a casa tutte le sere, faccia quel che vuole, è maggiorenne. Se uno è radical è radical. Prendiamocelo come è. Ci fa bene. Del resto, nelle regionali del Lazio Emma Bonino non ha perso niente del suo profilo pur essendosi messa alla testa dei democratici, anche di quelli che vanno a messa. Quasi quasi ce la faceva. La nascita del Pd è una grande occasione. Non va buttata via.
Forse non avremo più un pensiero forte, tipo Marx o San Tommaso, ma alla fine, ne sono certo, qualcosa di buono troveremo anche noi moderni.
Le "classi" (capitalisti/proletari) e le ideologie sono state sostituite dalla società civile. Oggi la produzione della ricchezza deve soddisfare non solo la sopravvivenza, ma anche una gamma più vasta di domande trasversali (scuola, diritti, consumo, tempo libero).
Per i partiti non c’è più un solo referente sociale. Vince chi ha il miglior "pacchetto paese", nelle idee e nell’offerta generale. Meno "struttura" più "sovrastruttura", se ci si vuole riferire alla cara terminologia marxiana. Un partito come Rifondazione comunista - che in certi momenti ha raggiunto punte anche del 7 per cento - si è sbriciolata in tanti partitini che ormai non raggiungono ciascuno neanche il 2 per cento. In Puglia però c’è anche un esempio splendido di comunista, Nichi Vendola: un "estremista", un radical, ma non un minoritario per vocazione. Sa pure governare.
Ecco, anche il nostro Pd forse dovrebbe mettere più attenzione alle radicalità. Che non è, mi spiace dirlo, ciò che fa Di Pietro. Come i politici della Prima Repubblica, l’ex magistrato è salito nella carrozza del Pd,
poi è saltato giù subito appena ha raggiunto il 4,1%, lasciando la carovana. Si è fatto il suo partitino e ora sta intorno al 7%. Lucra sugli errori del Pd. Vecchia politica. I Ralph Nader non fanno mai vincere.
Prendiamo invece Beppe Grillo. In questi ultimi anni è arrivato anche lui sulla scena politica. Non voleva starci, ma ci sta. Un "provocatore", avrebbero detto i comunisti anni cinquanta, quando c’erano le classi e non la società civile. Alle recenti elezioni regionali è sceso in campo anche lui. Ottimi i risultati dove le sue liste si sono presentate, peccato che in una regione, il Piemonte, quei voti hanno fatto la differenza: sono stati i voti dei "grillini" a togliere a Mercedes Bresso i numeri per vincere. Una manciata di voti in più e la Bresso sarebbe rimasta presidente di quella regione e una regione di più a noi e una di meno a loro avrebbe accorciato di due le distanze, dando un altro sapore al risultato complessivo al campo progressista.
Il guaio grosso adesso è però che una intera fascia di terra del nostro paese - quella più ricca, quella dove ci sono le banche più importanti, quella che ha l’imprenditoria più efficiente - è governata dai leghisti e dal partito di Berlusconi. Di questo passo sarà a rischio anche l’Emilia-Romagna. La Lega ha già ormai numeri a due cifre e Grillo ha raccolto non pochi consensi. Meglio non pensarci.
Quando il Pd muoveva i suoi primi passi Beppe Grillo bussò alla porta di Veltroni. Voleva iscriversi al partito. Era una provocazione, naturalmente. Ci fu anche una polemica. Ne aveva dette di cotte e di crude sul Pd, e tuttavia voleva la tessera. Ecco, quella forse fu un’occasione sprecata. Lui voleva solo provocare, ma, a pensarci bene, forse il Pd avrebbe fatto bene ad iscriverlo. Avrebbe rotto le scatole? Bene. Avrebbe fatto degli show a ogni riunione pubblica? Mah. I comportamenti clowneschi possono divertire per un quarto d’ora, tre volte di seguito, poi stufano, sia l’uditorio, sia il protagonista degli show. E poi Beppe Grillo non è affatto un clown. Possono non piacere i suoi modi, le sue provocazioni, ma è in sintonia con una parte del paese che proprio non ce la fa a piegarsi a qualsiasi manifestazione di berlusconismo. Io ce lo vedrei bene, Grillo, nel Pd, cioè in un partito democratico, diciamo così, all’americana, che ancora oggi ha la migliore offerta politica "di sinistra" su scala mondiale (vedere alla voce Obama).
Al timone del nostro Pd c’è Bersani. Un emiliano sobrio, serio, pratico. Affidabile. Difficile fargli la guerra, non è il tipo di mettersi a far beghe, come direbbe lui stesso con quell’emilianissimo understatment che tende a non spendere troppi discorsi, benché anche lui abbia nelle sue corde pensiero e parole "forti". Bersani non è un fighter, non ama il corpo al corpo, e non so se se la senta di imbarcarsi in un’avventura difficile come quella di evitare i nostri Nader. Bisogna però uscire al più presto dalla dimensione degli ex ds e degli ex ppi.
Ai Grillo, alla frange sperse della sinistra, bisogna dare una casa più grande. Grillo non deve tornare a casa tutte le sere, faccia quel che vuole, è maggiorenne. Se uno è radical è radical. Prendiamocelo come è. Ci fa bene. Del resto, nelle regionali del Lazio Emma Bonino non ha perso niente del suo profilo pur essendosi messa alla testa dei democratici, anche di quelli che vanno a messa. Quasi quasi ce la faceva. La nascita del Pd è una grande occasione. Non va buttata via.
Forse non avremo più un pensiero forte, tipo Marx o San Tommaso, ma alla fine, ne sono certo, qualcosa di buono troveremo anche noi moderni.
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