Il peso delle parole

I violenti scontri di Rosarno tra popolazione locale ed immigrati africani sono il risultato finale di una situazione non governata, di una realtà di degrado e di sfruttamento in cui lo Stato da molto tempo latita nel far rispettare le leggi, lasciando così inevitabilmente alla ‘ndrangheta lo spazio per imporre le proprie. L’unica cosa sicura è l’esasperazione che nasce dalle condizioni in cui comunità così diverse debbono convivere. Molti commentatori hanno parlato di una guerra tra poveri alimentata da rabbia ed esasperazione, ma anche da soprusi e violenze. Al di là degli incidenti, su cui sarà necessario fare chiarezza per permettere alla magistratura di colpire senza riguardo al colore della pelle, quello che colpisce è il commento a caldo del ministro degli Interni, Roberto Maroni che se l’è presa con “la tolleranza con cui in questi anni è stata accettata con troppo lassismo un’immigrazione clandestina che ha alimentato la criminalità e generato una situazione di forte degrado”. Con questa uscita polemica, con cui il ministro attribuisce le responsabilità di quanto accaduto agli avversari che alimentano un “clima”, abbiamo avuto l’ennesima conferma che ormai in Italia non è più possibile sentire la voce delle istituzioni, ma solo quella dei propagandisti a tempo pieno.
Nel nostro Paese, ministri e governanti non si distinguono più dagli uomini di partito. Sarebbe, invece, quanto mai opportuno che chi ricopre cariche pubbliche abbandonasse atteggiamenti di parte per acquisire un più sobrio profilo istituzionale. Noi abbiamo bisogno del linguaggio, alto e tecnico allo stesso tempo, degli statisti, necessitiamo di istituzioni a cui affidarci perché in grado di rappresentare tutti: è questo il solo modo per rimettere in piedi una dialettica politica tra maggioranza ed opposizione, da troppo tempo in stallo anche a causa di un eccesso di partigianeria.
Per quale ragione dai sondaggi emerge che le istituzioni di cui la gente si fida di più sono l’Arma dei carabinieri, la magistratura e la Chiesa? Perché sono rimaste le uniche ad offrire una sembianza di “affidabilità”, vale a dire forniscono un’immagine di professionalità e di correttezza nell’esercizio delle loro funzioni. Qui non è certo in discussione l’importanza cruciale del conflitto politico in una moderna democrazia, bensì tempi e modi del suo espletamento: tale funzione deve infatti essere garantita dai contrasti parlamentari, dalle polemiche tra partiti, dal pluralismo dei dibattiti pubblici. L’esecutivo, invece, pur essendo il prodotto finale di quel conflitto, dovrebbe definire (ed esaurire) il proprio profilo politico attraverso il programma di governo, lasciando da parte scelte e dichiarazioni regolarmente e continuamente polemiche. Da troppo tempo, insomma, chi va al potere preferisce assumere l’atteggiamento detto “di lotta e di governo”, cioè di spingere il pedale dei contrasti per prendere le distanze da un ruolo e un compito, quello del responsabile istituzionale, che potrebbe logorarlo come uomo politico. Dopo gli scontri a Rosarno, un ministro degli Interni degno di questo nome avrebbe esordito, in attesa di rispondere alle interpellanze in Parlamento, indicando quali sono i problemi dell’ordine pubblico in quella zona e cosa il governo sta facendo per risolverli. Avrebbe fatto il punto sul modo in cui gli immigrati vivono, sulle difficoltà reali della popolazione locale e sul ruolo della ‘ndrangheta e sulla sua presunta capacità di agire come fomentatrice di disordini per mandare “segnali” alle istituzioni. Purtroppo, invece, il leghista ha avuto il sopravvento sul ministro e così gli italiani si sono dovuti sorbire l’ennesimo comizio elettorale, mentre avrebbero avuto il diritto di sentire la voce di un ministro della Repubblica italiana.
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