Perchè Van Rompuy non sarà Churchill

Una colonna dell'europeismo come Mario Monti, sul Corriere della Sera, giornale che fregia la testata con la bandiera a stelle d'oro dell'Unione, e un critico severo di Bruxelles, Wolfgang Münchau sull'euroscettico Financial Times, concordano controcorrente: la nomina dell'oscuro ex premier belga Van Rompuy a presidente del Consiglio Ue va bene, benissimo.
Come sapete la reazione generale, anche al Dipartimento di Stato americano, è opposta. L'Europa s'è detto - e questo giornale ha così scritto per primo, con Enrico Brivio - si accontenta di nomi modesti, a Van Rompuy s'accompagna la sconosciuta baronessa inglese Ashton come ministro degli esteri, e non punta su leader forti, capaci di imporre un punto di vista comunitario alle beghe nazionalistiche delle cancellerie. Un Tony Blair, per fare solo un esempio, avrebbe potuto sedersi da pari a pari con Obama, Hu Jintao e Putin, e non limitarsi a prendere appunti se convocato da Merkel o Sarkozy. Difficile invece immaginarsi Van Rompuy tenere botta a Washington e Mosca, o avanzare un'agenda non già omogeneizzata da Berlino e Parigi.
L'obiezione di Monti e Münchau va però valutata bene, perché viene da due analisti non inclini alla propaganda e affezionati ai ragionamenti. La diagnosi è analoga: per Monti, Van Rompuy è «il presidente di un processo di costruzione… capace di creare consenso»; per Münchau «l'uomo giusto al posto giusto», temprato da anni di mediazione «tra fiamminghi e valloni».
Perché un europeista doc e un disincantato si trovano d'accordo? Perché rassegnati, o soddisfatti, nell'accettare l'Europa così com'è, dimessa ogni speranza di leadership globale. Potevamo incarnare questo progetto futuro in un presidente, o una presidente, forte e abbiamo scelto il bonsai Van Rompuy&Ashton. La crisi finanziaria e la morte della Costituzione, mal redatta da Giscard d'Estaing e perciò bocciata dagli elettori, hanno lasciato in mano ai governi solo ambizioni nazionali.
Van Rompuy, con tutte le sue virtù di mediatore, siederà a capo di un gran condominio, popolato da inquilini di mezza età, benestanti ma non troppo, che protestano a viva voce se i giovani disoccupati tirano tardi rumorosi in cortile, e stringono borsetta e portafogli alla vista di un lavoratore immigrato. Il problema, qui han ragione Monti e Münchau, non sono Van Rompuy o la baronessa. Il guaio è il calcolo, domestico e cinico, che ha persuaso Sarkozy e Merkel a imporli. Scegliere interlocutori magari capaci di mediare, ma sempre sulla base di quanto loro proposto, incapaci di far avanzare il discorso politico del continente.
Il sogno di un'Europa leader di pace e sviluppo, ancora vivo ai tempi della presidenza Ue di Prodi, euro e allargamento a Est, è rinviato, sine die. Non più tardi del maggio 2000, parlando all'Università Humboldt di Berlino, il ministro tedesco Joschka Fischer poteva genialmente affermare «l'euro è un progetto politico». Allora la Turchia voleva essere ingaggiata in un processo che l'avrebbe riportata a una cittadinanza europea antica come i greci, i romani, i bizantini. La difesa comune europea sembrava creare infine quell'esercito unitario proposto dall'ormai anziano Winston Churchill al neonato Consiglio d'Europa, in storiche sedute che ebbero addirittura come cronista il futuro Nobel Eugenio Montale.
Nulla di queste speranze è oggi vivo. La Costituzione s'è ristretta a lottizzazione e burocrazia. La Turchia deve guardare all'Asia e, semmai, all'America. L'euro è superbo contro il dollaro ai saldi di Natale, ma non sarà la divisa del XXI secolo. Le radio portatili militari europee stentano a parlarsi tra loro, ed è difficile rifornire un blindato di un paese dall'autocisterna di un altro.
Che Van Rompuy sappia ben mediare, temprato da estenuanti negoziati nelle lande care a Brueghel il Vecchio, non dubitiamo. Piuttosto, siamo afflitti dalla mancanza di ambizione, davanti a un G-20 dove i paesi dell'Unione peseranno sempre meno (l'Italia retrocederà al numero 15 in pochi anni). Gli Stati Uniti già ponderano il sorpasso di popolazione in età da lavoro sulla Cina, entro il 2050 (chi l'avrebbe mai detto?).
La stizza con cui Parigi e Londra difendono gli obsoleti scranni al Consiglio di sicurezza Onu, ai danni di Roma, Berlino, Madrid ricorda un aristocratico decaduto che non rinuncia ai coltelli d'argento senza più lama: un seggio europeo unico che valore morale altissimo, ancor prima che geopolitico, avrebbe avuto!
Questi son fatti, il resto, purtroppo, auspici ben educati ai quali associarsi è giusto, ma inutile. Se poi, invece, il felpato ex premier belga e la sobria baronessa inglese smentiranno i fatti, inverando gli auspici, saremo i primi a rallegrarcene. E offriremo in penitenza moules et pommes frites alla moda di Bruxelles, annaffiate da schiumante Bass ale inglese. Ma non ci contate.
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