Perchè io, buddhista, non andrò a vedere le reliquie del Buddha

Dalla Rassegna stampa

A partire dal 13 novembre e fino al 29 saranno esposte, in tre week end successivi, a Padova, Milano e Bologna le reliquie del Buddha storico, Sakhyamuni per intenderci. L’evento viene propagandato come indispensabile, da non perdere, per chi è buddista perché soltanto la visione di queste formazioni cristalline simili a perle e di frammenti ossei raccolti dalle ceneri del Risvegliato porterebbe una serie di benefici karmici.

 

Nel pieno rispetto delle scelte individuali, da buddhista ma anche da libertario e anticonfessionale quale mi ritengo, posso tranquillamente annunciare che non mi recherò a vedere alcunché e questo perché mi pare che né meno si ricada nella riproposta di rituali cui la Chiesa cattolica da secoli ci ha abituato e che da sempre chi professa l’antidogmatismo non può assolutamente accettare.

 

La vicenda del Buddha mi coinvolge e commuove almeno da quando ero adolescente ed ebbi la possibilità di studiarla per inclinazione personale. Sono stato in India, a Bodh Gaya, dove Siddhartha (566-486 a.C.) ben cinque secoli prima di Cristo ottenne la liberazione diventando l’Illuminato, ed ho pianto, così come a Sarnath, dove nel celebre Parco delle gazzelle, espose per la prima volta l’essenza del suo insegnamento mettendo, come si dice, in moto la Ruota della Legge e indicando la via per uscire dalla sofferenza e dall’attaccamento all’esistenza illusoria.

 

Amo Buddha più di me stesso e mi sforzo di attuare con il cuore e nella pratica quotidiana, probabilmente indegnamente, il suo dettato. Trovo che abbia soprattutto espresso una raffinatissima indagine psicologica che, se compresa fino in fondo, possa condurci alla liberazione dai tormenti della vita materiale e alla pienezza della compresenza, cioè all’affrancamento di tutti gli esseri senzienti, senza alcuna differenza di specie e di grado.

Detto questo non andrò né a Padova, né a Milano, né a Bologna proprio per fedeltà a quanto ci ha suggerito (non imposto) il Buddha storico, certo che se fosse ancora tra noi lui che ci ha esortato a mettere in dubbio le sue stesse parole, anzi a metterle alla prova dell’esperienza rigettando quanto viene smentito dai fatti, contesterebbe e irriderebbe aspramente comportamenti di tal genere.

 

Il punto è che, purtroppo, un gran numero di occidentali hanno abbracciato il buddhismo senza saperne granché, senza mettersi in gioco e in discussione, con lo stesso spirito con cui le beghine si recano alla funzione ogni primo venerdì del mese, alle novene, ad assistere alla liquefazione del sangue di San Gennaro, a San Giovanni Rotondo da San Pio, alle innumerevoli processioni in cui, all’insegna del peggiore materialismo e dell’antispiritualismo, del meretricio dell’interiorità, vengono trascinati corpi mummificati o brandelli incartapecoriti di santi e beati. Mi spiace, non ci sto.

 

Forse per questo sarò condannato a reincarnarmi e a scontare, nelle altre vite (tra l’altro non è neanche scontato che rinasca sotto sembianze umane), altre situazioni dolorose, ma non voglio prestarmi a questa offesa della dignità umana e, in primo luogo, del Buddha stesso. Anzi, è ora che i buddhisti occidentali aprano una serie riflessione su se stessi, sul rischio di replicare e reiterare le stesse manifestazioni su cui la Chiesa cattolica è riuscita a costruirsi nel corso dei secoli, e in spregio a Cristo, un impero economico, religioso, politico.

Occorre, invece, recuperare Buddha così come occorre volgerci alla purezza di Cristo. Non è un caso che lo stesso Dalai Lama, nei suoi frequenti incontri con esauriti occidentali più disperati che candidati ad essere “illuminati”, non smetta mai di esortare a non abbandonare il cristianesimo, anzi inviti a approfondirlo.

 

Come si fa ad essere buddhisti (e cristiani) e poi accettare le indulgenze, le simonie, le strategie del clero? Diamo speranza e luce davvero alle nostre vite. Il fideismo non porta da nessuna parte se non alla diminuzione della capacità di comprendere l’Altro e gli altri.

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