Perché ho deciso di sostenere Renzi

Dalla Rassegna stampa

Le primarie non sono una gara di bellezza e nemmeno un mero confronto tra biografie o stili e capacità di comunicazione. Servono a scegliere un leader e un indirizzo di governo. Della personalità di Renzi e Bersani si sottolineano spesso differenze assolutamente evidenti, che contano. La mia scelta a sostegno del primo dipende tuttavia da valutazioni squisitamente politiche.

Che Bersani sia personalmente stimabile non si discute. Ma credo abbia compiuto errori di cui è davvero difficile non tener conto. In primo luogo, come in fondo aveva promesso, ha infiacchito il progetto innovativo di un Pd riformista, aperto e plurale, attraverso la riproposizione di riti, riflessi condizionati, modalità di selezione del ceto politico, icone, riferimenti sociali e parole d'ordine di uno dei partiti precedenti. In secondo luogo, è progressivamente diventato, forse suo malgrado, il garante di ripartizioni cencelliane tra quasi tutto l'establishment del partito, come si è visto in occasione delle recenti nomine per le Authority.

Oggi è sostenuto da una maggioranza composita, che va da Franceschini a D'Alema, da Letta a Damiano, da Colaninno a Fassina, che è difficile pensare sia tenuta insieme da un comune progetto di governo. Un errore fatto anche da Veltroni nel 2007, che tuttavia poteva apparire allora temperato dalla nitida scelta - politica, culturale e programmatica - del Lingotto. La linea di Bersani sulle alleanze è apparsa ondivaga. Alle regionali del 2010 ha inseguito in ogni regione un interlocutore diverso, dai radicali all'Udc. Negli ultimi mesi, siamo passati dall'abbraccio con Di Pietro e Vendola a promesse di matrimonio con Casini, fino a una possibile rottura con gli uni e con l'altro.

Renzi è a volte corrosivo oltre il limite del tollerabile e costituisce per alcuni aspetti una incognita, non essendosi mai misurato con l'attività di Governo in ambito nazionale. Ma la proposta politica che avanza è più lineare. A me appare anche più convincente e credibile. Nella traccia del programma di Renzi si intravedono una chiara continuità con la cultura riformista praticata nelle migliori esperienze di governo sostenute dal centrosinistra dall'inizio degli anni novanta ad oggi, e con l'agenda Monti, insieme a significativi elementi di innovazione per favorire con più coraggio l'eguaglianza delle opportunità e la crescita. Al netto delle diversità imposte dal tempo trascorso, sono più forti le assonanze culturali tra il riformismo del primo Governo Prodi (su riduzione del debito, reimpostazione del Welfare, Europa, liberalizzazioni) e la traccia del programma di Renzi di quante non ve ne siano con le posizioni espresse da quei «giovani sperimentati» cui Bersani ha affidato la linea economica della sua segreteria, dando un esempio del ricambio anagrafico che ha in mente.

In secondo luogo, dovendo dare meno conto a burocrazie che mirano all'autoconservazione, Renzi è più credibile quando promette riforme incisive della politica per cui io stesso mi sono battuto, spesso trovandomi al momento della verità sostanzialmente isolato anche nel gruppo parlamentare Pd: drastica riduzione o abolizione delle province, superamento effettivo del bicameralismo e dimezzamento del numero dei parlamentari, vera riforma o abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, adeguamento agli standard europei e trasparenza totale sulle indennità.

Renzi appare più credibile quando promette una forte discontinuità con la attuale classe dirigente, proveniente quasi tutta dai partiti della Prima Repubblica. I suoi toni e le affermazioni inutilmente sgradevoli con cui fa di ogni erba un fascio sono a volte esagerate, anche se vengono applaudite proprio dai militanti di più lunga data. Il segnale che vogliono dare è sacrosanto. Renzi, oltre che per il suo registro comunicativo, può convincere tanti elettori tentati da Grillo o disillusi da Berlusconi a votare per il centrosinistra.

Senza che il Pd debba delegare il compito ad altri, come nell'illusorio schema politicista che consegnerebbe a Casini, sulla base di un patto tra partiti feudali, la rappresentanza dei «moderati», e a noi - come nel 1994, rappresentanti dei «progressisti» - il compito di remunerarlo. Le recenti dichiarazioni di Berlusconi fanno capire benissimo, del resto, qual è il candidato che con certezza lo manderebbe definitivamente in soffitta. Sono in gioco questioni essenziali su linea di governo, ricambio della classe dirigente, progetto riformista, alleanze, che avrebbero meritato primarie di partito a conclusione di un congresso, secondo le nostre regole.

Il congresso si terrà invece sei mesi dopo le elezioni. Una stranezza. Comunque sia, scelte "politiche" di questa portata noi non possiamo che sottoporle al giudizio dei nostri elettori. Sarà una bella sfida. Se sarà condotta in maniera aperta, corretta e leale, sarà ossigeno per il centrosinistra e per la democrazia italiana.

 

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