Pentito di camorra trovato in cella impiccato. La moglie: è stato pestato

Dalla Rassegna stampa

«Da lunedì sono più vicino a te, ci vedremopiù spesso»: con queste parole Ciro Ruffo, 35 anni, sabato scorso annunciava alla moglie il suo trasferimento dal carcere Ariano Irpinio (Av) nel quale era detenuto, al San Michele di Alessandria. Ieri lo hanno trovato impiccato nella sua nuova cella in Piemonte, l’ipotesi è quella del suicidio. Ruffo si trovava in carcere per reati di criminalità organizzata - apparteneva al clan Di Tella, sottogruppo dei casalesi - e da poco aveva cominciato a collaborare con i magistrati. La moglie, però, non crede che l’uomo si sia tolto la vita: «Ho visto il corpo all'obitorio del cimitero di Alessandria», ha spiegato, «ha il naso rotto, un livido sotto l'occhio destro, tanti altri lividi sulla schiena, sulla pancia, in faccia. Ha perso sangue dagli occhi e dalle orecchie.» La donna non ha dubbi, «È stato pestato». Secondo i dati dell'Osservatorio permanente sulle morti in carcere (formato dai Radicali e dalle associazioni Detenuto Ignoto, Antigone, A Buon Diritto, Radiocarcere e Ristretti Orizzonti), se Ruffo si fosse veramente ucciso, sarebbe il terzo suicidio dall’inizio dell’anno nella casa circondariale di Alessandria, dove sono stipati 384 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 263. Il primo caso è avvenuto il 26 aprile scorso, quando si è tolto la vita Franco Fuschi, 63 anni, ex agente segreto, in carcere per traffico di armi, mentre il 17 gennaio si è ucciso Edward Ugwoj Osuagwu, 35 anni, nigeriano coinvolto in vicende di droga. A livello nazionale, quello di Ruffo sarebbe il 67° caso di suicidio in carcere: sempre più vicini al massimo storico del 2001, in cui si sono registrati 69 casi di suicidio. Di sicuro, conla sua morte sale a 169 il numero dei detenuti deceduti in carcere nel 2009.
Il decesso di Alessandria presenta delle analogie con quello di Giovanni Lorusso, 41 anni, trovato cadavere in cella il 17 novembre scorso, in testa un sacchetto di plastica riempito di gas. Come Ruffo, anche il detenuto quarantunenne proveniva dal carcere Ariano Irpinio ed era appena stato trasferito in un nuovo istituto, il carcere di Palmi (Rc). I due uomini, poi, secondo i parenti, non avevano alcun motivo per togliersi la vita, né avevano mai manifestato alcuna intenzione di farlo. Infine, entrambi i corpi presentavano i segni di ferite da percosse, simili a quelli trovati sul cadavere di un altro ragazzo, morto dopo essere entrato nel carcere di Regina Coeli: Stefano Cucchi, il trentunenne arrestato per possesso di marijuana e deceduto nella notte tra il 22 e il 23 ottobre scorso.

Reagisce con fermezza il sindacato della polizia penitenziaria dopo aver appreso dei dubbi sulla morte di Ruffo: «Basta attacchi all'onorabilità della polizia penitenziaria» o «non esiteremo a querelare chi ci offende».
 

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