Pena di morte, il coraggio di dire no

La conversione degli Stati nel mondo per l'abolizione della pena di morte continua lenta, ma ormai irreversibile. Per chi volesse misurarne l'andatura, ricorderemo che quaranta anni fa solo ventitré erano i Paesi abolizionisti, oggi sono centoquarantuno. E nel dicembre 2007 l'Assemblea generale dell`Onu approvava una risoluzione per una moratoria universale dell'applicazione
della pena di morte, che avrà una replica alla fine di quest'anno.
Le aspettative sono per una astensione degli Stati Uniti, del Giappone e dell'India. Per ciascuno di questi tre Stati le ragioni che lasciano sperare in una loro posizione meno rigida sono diverse. Per gli Stati Uniti l'attenzione di Obama ai processi di evoluzione della civiltà giuridica del mondo, per il Giappone l'astensione di un intero anno da esecuzioni capitali, per l'India l'esistenza di un dibattito in materia presso la Corte Suprema.
Tuttavia gli schieramenti nell'Assemblea dell'Onu sono risultati di azioni diplomatiche e di calcoli
politici. Su questioni che toccano la persona umana e il suo diritto alla vita. Le cause attive sono culturali. E qui si tocca il paradosso della difficoltà che un valore universale ìncontra quando lo si voglia liberare dagli ostacoli oppostigli da tradizioni sociali e religiose, da arcaiche eredità di sistemi giuridici, da mentalità collettive, che uniscono alla resistenza il cambiamento il timore
della perdita di una identità storica particolare.
L'uomo per la dotazione che gli è riconosciuta di diritti universali dovrebbe avere come suo contesto di vita l'intera famiglia umana, o come con generosa profezia si esprimeva Giovanni XXIII la cittadinanza di una comunità politica mondiale. Nelle pesantezze della storia, gli uomini vivono in popoli e Stati assai diversi e talora discordi proprio nel riconoscere la natura
universale della persona umana.
L'Italia ha un primato nel mondo, non solo per il pensiero illuministico di Cesare Beccaria, avverso alla pena di morte, ma per l'abolizione di questa sanzione nel Gran ducato di Toscana e con il Codice Zanardelli nell'Italia unita e poi soprattutto nei nostri giorni per l'interpretazione
degli articoli 2 e 27 della Costituzione della Repubblica da parte della Corte Costituzionale. Quando la commissione dell'Assemblea costituente, che preparò il Progetto di costituzione, volle illustrare il comma 4 dell`articolo 27, abolitivo della pena di morte, si richiamò ad un principio "che in molti sensi può dirsi italiano". Principio che già può dirsi ricognitivo di un più generale diritto alla vita, primo tra i diritti umani riconosciuti nell`articolo 2.
La Corte Costituzionale. con sentenza n. 223 del 1996. impedì l'estradizione negli Stati Uniti di un cittadino italiano. non ricorrendo la garanzia assoluta richiesta dalla nostra Costituzione per la inviolabilità della vita in uno Stato estero non abolizionista.
Se gli Stati si conoscessero meglio. al di sopra degli interessi politici, economici, militari, sul piano dei diritti umani e con una informazione storico-comparativa sul divenire dei propri ordinamenti, probabilmente le infinite risorse della cultura riuscirebbero ad abbattere tante frontiere, che, prima di delimitare gli spazi della sovranità degli Stati, offendono e frantumano l'unità della
ragione umana.
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