Peggio che con Saddam

La pena di morte non fa notizia nel nostro paese, suscita qualche interesse solo se il morto ammazzato è di passaporto americano, non interessa per niente se si tratta di fucilati cinesi, decapitati sauditi, impiccati iraniani o iracheni. Eppure dovrebbe essere degno di nota, ad esempio, il fatto che in Iraq, dopo la caduta del regime di Saddam Hussein e la breve moratoria stabilita dagli "invasori" americani, le esecuzioni sono riprese con lo stesso macabro rituale e la furia omicida in voga ai tempi del raìs.
Nella sola giornata di ieri sono stati impiccati quattordici iracheni, la maggior parte membri del sedicente Stato islamico dell'Iraq, gruppo legato ad al Qaeda. Queste impiccagioni portano il numero delle persone giustiziate nelle prime sei settimane di questo anno vicino al totale di 68 di tutto il 2011. L'Iraq aveva giustiziato altre 17 persone il 31 gennaio e altre 34 il 18 gennaio, sempre per reati connessi al terrorismo. Era dai tempi di Saddam che non si vedeva una tale orgia di esecuzioni.
Le impiccagioni avvengono attraverso una forca di legno in una angusta cella del carcere di al Kadhimiya, lo stesso complesso dove Saddam Hussein eliminava le sue vittime sciite e dove Nouri al Maliki, in una pedissequa imitazione di terrore saddamita, ora impicca i suoi nemici sunniti.
L'ex dittatore è stato impiccato nel carcere di al Kadhimiya alla fine del 2006. Subito dopo è toccato a Barzan al Tikriti e ad altri esponenti del deposto regime. Video non autorizzati delle esecuzioni, in seguito resi pubblici, mostrano il corpo di Saddam su una barella con la testa girata di 90 gradi, mentre quella di Barzan si è staccata completamente dal corpo nel corso dell'impiccagione.
Da quando l'Iraq è stato "liberato" dal crudele dittatore, sono stati almeno 390 i condannati a morte giustiziati, in prevalenza insorti, ai quali il "democratico" al Maliki ha riservato la stessa giustizia sommaria che di solito loro praticano sui loro sequestrati. Nessuna pietà: in questi anni non abbiamo avuto una sola notizia di persone condannate a morte che siano state graziate.
L'alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, si è detta scioccati dopo aver appreso delle 34 persone giustiziate a gennaio in un solo giorno. «Anche se fossero stati osservati i più scrupolosi standard sul processo equo, si tratterebbe comunque di un numero terrificante», ha dichiarato. Anche l'alto rappresentante dell'Ue Catherine Ashton ha espresso preoccupazione per il crescente uso della pena di morte in Iraq, che «non dovrebbe mai essere usata nei casi in cui le condanne siano basate su confessioni che possono essere state estorte».
Già, perché nell'Iraq "liberato", con la pena capitale è tornata in voga anche la tortura. Human Rights Watch ha scoperto, all'interno della base militare di Camp Justice a Bagdad, un centro di detenzione segreto controllato dalle forze di sicurezza d'élite che rispondono all'ufficio militare del primo ministro Nuri al Maliki. Le stesse divisioni d'élite controllano Camp Honor, una struttura separata a Bagdad, dove i detenuti che per fortuna ne sono usciti hanno raccontato che coloro che li interrogavano li hanno picchiati, li hanno appesi a testa in giù per ore, gli hanno somministrato scariche elettriche in varie parti del corpo compresi i genitali e gli hanno ripetutamente messo la testa in sacchetti di plastica fino a quando non svenivano per asfissia.
L'Iraq del dittatore Saddam, insieme alla Cina e all'Iran, è sempre salito sull'orribile podio dei primi tre paesi-boia del mondo. L'Iraq del "democratico" al Maliki sta facendo di tutto per confermare questo triste primato, senza soluzione di continuità rispetto a tutto l'inventario di sistemi e pratiche del passato. È il frutto avvelenato della guerra in Iraq, guerra che - ormai è chiaro e da più parti documentato - è stata fatta improvvisamente scoppiare da Bush e Blair proprio per impedire che scoppiasse la pace e si realizzasse, attraverso l'esilio di Saddam e una amministrazione fiduciaria dell'Onu, l'obiettivo di Marco Pannella e del Partito Radicale di un "Iraq libero"... anche dalla pena di morte.
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