Pd e Udc fanno slittare la riforma universitaria e mettono alla porta il ministro Gelmini

Dalla Rassegna stampa

 

La riforma dell'Università subisce una brusca frenata. Doveva arrivare nell'aula di Montecitorio il 4 ottobre, lunedì, mala conferenza dei capigruppo ha deciso di ritardare l'avvio della discussione generale al 14 ottobre. E dunque il voto sul provvedimento finirà probabilmente per slittare dopo la sessione di bilancio, mettendo a rischio l'approvazione prima della fine dell'anno. A puntare i piedi e ad insistere per lo slittamento Dario Franceschini per il Pd e anche l'Udc con Pierferdinando Casini. In particolare il secondo ha insistito sulla necessità di avere più tempo perla discussione e la presentazione degli emendamenti. Alla fine hanno vinto loro e il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha deciso di ritardare l'arrivo in aula del ddl sottolineando come non si possano esaminare «provvedimenti onerosi» durante la sessione di bilancio. Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, ha chiesto di prendere parte alla riunione dei capigruppo proprio per sostenere l'immediato avvio della discussione ma è stata lasciata fuori dalla porta.
È il primo segnale di come saranno i futuri rapporti tra il Parlamento, in particolare la Camera, e il governo? Lo slittamento tanto sgradito all'esecutivo è il frutto del clima avvelenato delle ultime settimane? A pensar male si fa peccato ma ci si indovina, diceva sempre Giulio Andreotti.
Ma al di là delle tensioni politiche dentro e fuori la maggioranza che cosa comporta questo ritardo? Rappresenta un problema per le Università? Decisamente sì e non soltanto secondo il governo e la maggioranza ma anche per Enrico Decleva, presidente della Crui, la Conferenza dei Rettori. Questo slittamento dice Decleva «equivale molto probabilmente alla rottamazione del provvedimento» e aggiunge: «forse non ci si rende conto degli effetti che ne verrebbero anche rispetto alla protesta dei ricercatori in quel che essa ha di legittimo e di giustificato ma che può trovare soddisfazione all'interno della legge in discussione, modificata nei termini condivisi ampiamente emersi, non certo nel suo tracollo».
I rettori invocano quindi «un atto di responsabilità» per anticipare i tempi in modo che il provvedimento venga licenziato prima della sessione di bilancio. Il nodo cruciale riguarda i finanziamenti che il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha garantito ma vincolato al varo del ddl. Insomma se slittala riforma rischiano di slittare pure i finanziamenti, indispensabili per il regolare svolgimento di tutte le attività. «Il governo ha garantito le risorse per gli stipendi, per il diritto allo studio, per i ricercatori abbiamo fatto tutto quello che era nelle nostre facoltà - dice la Gelmini - Ora tocca al Parlamento. È chiaro che lo spostamento in avanti dell'approvazione del ddl complica la vita al sistema universitario».
La Gelmini si augura che il tempo in più possa servire a trovare un accordo sui ricercatori che sblocchi i concorsi da associato. Comunque non tutte le porte sono chiuse: governo e maggioranza sperano di riuscire ad anticipare l'arrivo in aula almeno all'11 ottobre. La relatrice del provvedimento, Paola Frassinetti (Pdl), si dice assolutamente disponibile a modificare il testo purché non ne venga stravolta l'impostazione. «Non escludo che la situazione politica abbia giocato a favore di questo slittamento - dice la Frassinetti - Pd ed Udc chiedono più tempo per discutere ma la realtà è che da quella parte non è arrivata alcuna concreta controproposta. Noi comunque non gettiamo la spugna siamo aperti al confronto e speriamo di chiudere prima della sessione di bilancio».

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