Pd e Sel alleati, aspettando l’Udc. E Vendola si candida alle primarie

Dalla Rassegna stampa

È andata bene, dicono Vendola e Bersani dopo essersi incontrati per più di un’ora nella sede del Pd. Cosa vuol dire, esattamente? Cominciamo dal punto in comune più evidente: l’esigenza di costruire un’alternativa alla destra populista – ovvero, il punto centrale della proposta politica su cui è stata costruita la Carta d’intenti presentata due giorni fa. Su questo non ci sono riserve da parte di Sel, e ieri Vendola ha espresso un giudizio positivo sul documento democrat: addirittura «un punto di svolta» nei rapporti tra i due partiti. Un discorso di prospettiva, a cui Vendola dà anche un nome, “polo della speranza”, che a Bersani piace. Anche perché se si fosse cercata una mediazione sul giudizio relativo all’esperienza del governo Monti, semplicemente non si sarebbe trovata. Lo stesso Vendola ha spiegato che neanche ieri mattina si è potuta trovare una sintesi su questo punto.

L’alleanza con l’Udc
Ma condividere una prospettiva vuole anche dire che da parte di Sel non ci sono ostacoli alla costruzione di un’alleanza che comprenda l’Udc? Appena si è diffusa questa interpretazione, Vendola ha tirato con energia la leva del freno. Poi nella conferenza stampa convocata a tamburo battente (epilogo di una lunga riunione della segreteria del partito) ha chiarito i termini della questione: «Non vogliamo subire veti, non poniamo veti né ultimatum a nessuno. Ma occorre essere chiari: se si è d’accordo nel superare le politiche liberiste delle destre, se si vogliono difendere i diritti sociali e l’equità sociale a partire dall’articolo 18, se si vogliono difendere i diritti civili a partire dai diritti delle coppie di fatto e gay, tutti sono benvenuti». Un’apertura, dunque, con molti se e ma. Tuttavia sufficiente a suscitare una ridda di commenti negativi, a volte ai limiti dell’insulto, in calce al relativo tweet vendoliano. Il che spiega con quanta cautela il presidente della Puglia debba maneggiare questo argomento. Tutto considerato, il Pd può almeno incassare un mancato “no”, anche se non ancora un “sì”, a quella che è sempre stata la linea del segretario dem: i progressisti che si alleano con il centro.

Il listone
Tantomeno è maturo un accordo sulle liste elettorali. «Una lista comune col Pd? Prima di sapere quale sarà la legge elettorale non ha senso parlarne», dicono dalle parti di Sel. Un discorso pratico, un po’ diverso dalla posizione di principio espressa da Vendola: «Non penso che la reductio ad unum sia un vantaggio per la democrazia». Tutto, insomma, dipende dalla legge elettorale. Se alla fine la pallina della roulette dovesse fermarsi sul premio di governabilità attribuito al partito vincente, e non alla coalizione (che però è l’opzione del Pd), allora se ne potrebbe riparlare. E forse il discorso non sarebbe circoscritto a Sel. Vendola ha annunciato la sua candidatura alle primarie, che in un’eventuale prospettiva di una lista comune possono anche essere anche un modo per definire i rapporti di forza all’interno della coalizione, a parte l’Udc che non puà certo competere nel campo dei progressisti.

Di Pietro destruens
A ben vedere un altro elemento che hanno ormai in comune il Pd e Sel (e anche questo provoca grandi malumori tra i militanti vendoliani) è il giudizio pesantemente negativo sull’operato di Antonio Di Pietro. «Non si può essere ogni giorno soltanto parte destruens, dobbiamo ricostruire l’Italia”, ha detto Vendola. Bersani lo nota da un bel po’.

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