Pd-radicali, in gioco un progetto Lib-dem

In democrazia, il dialogo e il contraddittorio sono indispensabili. Senza libertà di discussione e di interlocuzione non vi è democrazia. E se non c'è libertà di stampa, di informazione, di conoscenza, se manca la circolazione delle idee, allora non si può neppure parlare di democrazia, ma di "democrazia reale". In Italia, come in troppe parti del mondo, proprio per questa ragione, vige un regime anti-democratico e illiberale. Sulla scia di questa necessità, i Radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino si riuniscono da oggi a Chianciano fino al 20 per svolgere il 39° congresso del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito. Sarà l'occasione, come si legge sull'home page del sito www.radicalparty.org, «per aggiornare e riproporre con più forza gli strumenti e gli obiettivi della nonviolenza, della speranza democratica, dell'affermazione universale dei diritti umani, del federalismo europeo e mondiale come alternative alla degenerazione delle cosiddette democrazie in "democrazie reali", della perdurante illusione della sovranità assoluta nazionale, nonché della cancellazione sistematica di diritti umani storicamente acquisiti».
Il dialogo è il sale della democrazia e il dissenso è un connotato tipicamente liberale. Il dissenso, perciò, permette al pensiero e al metodo liberale di trovare cittadinanza perfino lì dove il terreno è più arido.
Per questo motivo, il Pd dovrebbe aprire una discussione seria e profonda con i Radicali. Un dialogo per il congresso dei Radicali a Chianciano. Ma in che modo? Ritengo possa essere molto utile recuperare e rileggere un articolo di Roberto Della Seta e di Francesco Ferrante, apparso di recente su Europa e intitolato "MoDem, né socialisti, né liberaldemocratici". Un ottimo spunto di riflessione e di analisi. Finalmente c'è qualcuno che entra nel merito di quanto vado sollevando da tre anni: il Pd è un partito un po' conservatore e anche un bel po' riformista, ma non è riformatore. Non è liberaldemocratico né socialista. Infatti, i due esponenti dell'area MoDem sentono l'urgenza di scrivere: «La quasi totalità del gruppo dirigente del Pd (compresi noi che scriviamo e compreso il direttore di Europa) non proviene né dall'una né dall'altra tradizione politica». Ma non basta, più avanti si legge: «Alla fine, socialisti e liberali si assomigliano più di quanto qualcuno immagini, di sicuro si assomigliano nella difficoltà di voltare pagina rispetto al loro Novecento». Non è così, anzi: è esattamente il contrario. Mi spiego meglio: le antiche idee socialdemocratiche, liberalsocialiste, quelle libertarie e liberali ormai si assomigliano, è vero, nel senso che oggi, dopo un intero secolo trascorso a superare i rischi di una egemonia politica anti-liberale e anti-democratica, sono ormai divenute parole tra loro sinonimi. Perché non appartengono al Novecento, ma sono forze aperte e sempre in movimento, in divenire, in elaborazione, cioè non si basano su convinzioni statiche, fisse, dottrinarie, quanto piuttosto sul rinnovamento continuo, sull'aggiornamento e sull'innovazione. All'opposto, le speranze ideologiche e dogmatiche di destra o di centro o di sinistra non hanno ancora fatto i conti, almeno in Italia, con il loro passato. Ed è divenuto un passato che non passa.
Quella dei due esponenti dell'area MoDem, in altri termini, è una riflessione che ho apprezzato moltissimo perché l'ho trovata sincera, intellettualmente onesta, motivata. Una lettura che viene proposta da Della Seta e da Ferrante come il risultato di una analisi approfondita, dettata da un preciso indirizzo ideale, in cui emerge il limite dell'attuale Pd: il fatto di pretendere di essere democratico senza essere liberale. Non a caso, proprio su questo punto, Benedetto Croce scriveva: «Non bisogna dimenticare che il liberalismo disgiunto dalla democrazia inclina sensibilmente verso il conservatorismo, e che la democrazia, smarrendo la severità dell'idea liberale, trapassa nella demagogia e, di là, nella dittatura». Della Seta e Ferrante, legittimamente, ma forse inconsapevolmente, rivendicano con vanto una linea politica vecchia, ideologica e vissuta, infatti, in chiave non socialista e non liberale. È un'ammissione che fa onore agli autori del pezzo. Anche perché, fin dal primo discorso di Walter Veltroni al Lingotto, questo quadro era già chiaro. Era chiaro a tal punto che ripresi a parlare della Rosa nel Pugno e dell'Ulivo specificando come si trattasse di due progetti in antitesi, in concorrenza tra di loro, ma che lavoravano nello stesso cantiere.
Il rapporto tra il Pd e i Radicali dipende anzitutto dalla necessità di una discussione aperta sull'idea di una costituente liberale e democratica e del progetto Lib-Dem. Sono sicuro che Europa potrebbe rendere possibile una tale interlocuzione attraverso le proprie pagine. L'idea su cui mi vorrei confrontare è, infatti, quella liberale e democratica che vado ripetendo da mesi. Anche grazie all'ospitalità di Europa. La mia proposta, insomma, è quella di verificare, con chi ha intelligenza e lungimiranza, la possibilità della nascita di un progetto politico Lib-dem. Questa discussione può aiutare tutti. Può aiutare la politica, le istituzioni, i poteri dello stato. Vorrei capire se il Pd abbia o no la forza di aprire una discussione sull'alterità di un progetto politico Lib-Dem, cioè laico, liberale, socialista, libertario e democratico. Se non c'è discussione, non c'è democrazia. Se il Pd non ha questa forza, non è democratico.
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