Il Pd, il "Patto Repubblicano" e la legge elettorale

In coincidenza del 25 aprile, Bersani ha chiamato a raccolta le forze politiche attorno al "patto repubblicano" di ciellenista memoria, per bloccare la deriva plebiscitaria e populista di Silvio Berlusconi. Il che significa, per non farla lunga, che con questa mossa vorrebbe evitare le eventuali elezioni anticipate.
Non si aspetta da Berlusconi le riforme, ma solo il voto anticipato, perché il governo, secondo lui, non ce la farà ad "andare così per tre anni". Insomma, vede nero e vede elezioni. La sua analisi non tiene conto della realtà del Pd, diviso su tutto e, per di più, si trova senza una candidatura credibile alla premiership. Oltretutto, il Pd si sta curando le ferite riportate nelle scorse regionali e amministrative, figuriamoci se pensa alle elezioni anticipate.
A ben vedere, le sue avance sono prove tecniche per un governo di unità nazionale vecchio stile. Il passato non passa per i reduci e combattenti dell’ex Pci e dell’ex sinistra Dc. Per loro cultura politica, sono fermi lungo l’arco di tempo che va dal Cln (1944) al governo di solidarietà nazionale (1976). Chi ha annusato per primo nell’aria il profumo di "compromesso storico" riveduto e corretto, è stato Marco Pannella. E, non a caso, si è opposto, oggi come ieri, alla formula evergreen pronta a spuntare dal cilindro del prestigiatore di turno, al momento Bersani, nelle fasi considerate emergenziali.
Bersani ha lanciato il suo appello dalle colonne de "La Repubblica" e non ha detto alcuna novità di fondo, se non l’invito rivolto a Gianfranco Fini a far parte della compagnia di giro, ossia quelle forze dell’opposizione, con e senza rappresentanza parlamentare: da Rifondazione comunista all’Idv,
passando per l’Udc.
Tuttavia Fini, attraverso i finiani, ha respinto l’appello a brutto muso. Non poteva far altro: troppo presto è giunto l’appello e, oltreché, posto in modo strumentale. Fini in tutte le salse ha spiegato, ultimamente anche nella trasmissione in " Mezzora" di Lucia Annunziata, che non esce dal Pdl e tanto meno si mette di traverso rispetto al governo. Ha giurato lealtà a Berlusconi e fino a prova contraria bisogna credergli. Per il principio dell’eterogenesi dei fini (con la minuscola o la maiuscola non cambierebbe granché), Bersani ha fatto un capolavoro, riavvicinando, con le mille precauzioni del caso, Fini a Berlusconi. Dal punto di vista del Presidente della Camera, il segretario del Pd non gli ha fatto un favore, semmai l’opposto. La proposta di Bersani serve come visto - per molti usi ed è stata fatta, in special modo, quando non si hanno le idee chiare sul da farsi e quando si vuole esorcizzare qualcosa di esiziale: le elezioni anticipate. Sta in una situazione in cui deve fare di necessità virtù, per avere visibilità politica e, nel contempo, corre il rischio di essere accusato di non essere nell’agone politico, lasciando al Pdl il campo, facendolo giocare con due squadre: la berlusconiana e la finiana, occupando così lo spazio della maggioranza e dell’opposizione.
Difatti, le sue argomentazioni sono tutto e il contrario di tutto: il "patto repubblicano" non è una proposta di governo, ma, nello stesso tempo, pone il problema che con la legge elettorale in vigore e con questo sistema di informazione non si può andare avanti. Non è tutto. Bersani continua con la sua elucubrazione, spiegando di non "fare tattica sulle alleanze", ma "esattamente il contrario". E aggiunge: "Voglio che siamo noi a interpretare le grandi esigenze sociali e a proporre una forma nuova e più efficiente di bipolarismo".
Per dirla tutta, Bersani usa il linguaggio politichese per confondere le acque, nascondendo la verità: il suo obiettivo è l’approvazione di una legge elettorale di tipo proporzionale con sbarramento alla tedesca, per cui il bipolarismo va a ramengo. Ma si guarda bene di dire con quale governo.
Non si aspetta da Berlusconi le riforme, ma solo il voto anticipato, perché il governo, secondo lui, non ce la farà ad "andare così per tre anni". Insomma, vede nero e vede elezioni. La sua analisi non tiene conto della realtà del Pd, diviso su tutto e, per di più, si trova senza una candidatura credibile alla premiership. Oltretutto, il Pd si sta curando le ferite riportate nelle scorse regionali e amministrative, figuriamoci se pensa alle elezioni anticipate.
A ben vedere, le sue avance sono prove tecniche per un governo di unità nazionale vecchio stile. Il passato non passa per i reduci e combattenti dell’ex Pci e dell’ex sinistra Dc. Per loro cultura politica, sono fermi lungo l’arco di tempo che va dal Cln (1944) al governo di solidarietà nazionale (1976). Chi ha annusato per primo nell’aria il profumo di "compromesso storico" riveduto e corretto, è stato Marco Pannella. E, non a caso, si è opposto, oggi come ieri, alla formula evergreen pronta a spuntare dal cilindro del prestigiatore di turno, al momento Bersani, nelle fasi considerate emergenziali.
Bersani ha lanciato il suo appello dalle colonne de "La Repubblica" e non ha detto alcuna novità di fondo, se non l’invito rivolto a Gianfranco Fini a far parte della compagnia di giro, ossia quelle forze dell’opposizione, con e senza rappresentanza parlamentare: da Rifondazione comunista all’Idv,
passando per l’Udc.
Tuttavia Fini, attraverso i finiani, ha respinto l’appello a brutto muso. Non poteva far altro: troppo presto è giunto l’appello e, oltreché, posto in modo strumentale. Fini in tutte le salse ha spiegato, ultimamente anche nella trasmissione in " Mezzora" di Lucia Annunziata, che non esce dal Pdl e tanto meno si mette di traverso rispetto al governo. Ha giurato lealtà a Berlusconi e fino a prova contraria bisogna credergli. Per il principio dell’eterogenesi dei fini (con la minuscola o la maiuscola non cambierebbe granché), Bersani ha fatto un capolavoro, riavvicinando, con le mille precauzioni del caso, Fini a Berlusconi. Dal punto di vista del Presidente della Camera, il segretario del Pd non gli ha fatto un favore, semmai l’opposto. La proposta di Bersani serve come visto - per molti usi ed è stata fatta, in special modo, quando non si hanno le idee chiare sul da farsi e quando si vuole esorcizzare qualcosa di esiziale: le elezioni anticipate. Sta in una situazione in cui deve fare di necessità virtù, per avere visibilità politica e, nel contempo, corre il rischio di essere accusato di non essere nell’agone politico, lasciando al Pdl il campo, facendolo giocare con due squadre: la berlusconiana e la finiana, occupando così lo spazio della maggioranza e dell’opposizione.
Difatti, le sue argomentazioni sono tutto e il contrario di tutto: il "patto repubblicano" non è una proposta di governo, ma, nello stesso tempo, pone il problema che con la legge elettorale in vigore e con questo sistema di informazione non si può andare avanti. Non è tutto. Bersani continua con la sua elucubrazione, spiegando di non "fare tattica sulle alleanze", ma "esattamente il contrario". E aggiunge: "Voglio che siamo noi a interpretare le grandi esigenze sociali e a proporre una forma nuova e più efficiente di bipolarismo".
Per dirla tutta, Bersani usa il linguaggio politichese per confondere le acque, nascondendo la verità: il suo obiettivo è l’approvazione di una legge elettorale di tipo proporzionale con sbarramento alla tedesca, per cui il bipolarismo va a ramengo. Ma si guarda bene di dire con quale governo.
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