Il Pd e l'impossibilità di riflessioni normali

La domanda è semplice. È lecito o no ragionare sulle difficoltà che il principale partito di opposizione tuttora incontra nell’assumere il profilo di una grande forza di alternativa di governo, e sui guai che un simile stato di cose comporta non solo per il Pd, ma per tutta la democrazia italiana, senza per questo essere raffigurati come dei supporter di Silvio Berlusconi?
La risposta è, o dovrebbe essere, altrettanto semplice. Certo che si può. Anzi, si deve. Lo stesso Pier Luigi Bersani, lungo tutta la sua (vittoriosa) campagna elettorale nelle primarie, ha sostenuto che per il suo partito, e più in generale per il centrosinistra, il problema principale è esattamente questo, e ha chiesto (e ottenuto) voti proprio per provarsi a venirne a capo: sarebbe curioso se analisti politici e commentatori dovessero essere, in materia, più riguardosi e più timidi di quanto lo sia quello che una volta, un po' enfaticamente, si chiamava il segretario generale. Tutto chiaro, allora, tutto scontato? Ma nemmeno per sogno. E non perché Bersani abbia cambiato idea, o se la sia presa con chi insiste a dire la sua sull’argomento: il leader del Pd è persona garbata e di mondo, non sospetta in ogni critico una iena dattilografa e in ogni grande giornale che si sofferma su questi temi una centrale nemica, non alza il telefono per protestare. Non è solo una questione di stile: sa benissimo, e lo riconosce apertamente, basta chiederglielo, che il problema è stato finalmente enunciato, sì, e però è molto lontano dall’essere non diremo risolto, ma messo a fuoco con la dovuta precisione.
No, a tirare le orecchie un giorno sì e l’altro pure a chi insiste sulle difficoltà (usiamo pure questo eufemismo) del Pd non è il segretario, ma la stampa amica, o che si pretende amica. Per la quale, a quanto pare, questa storia della necessità, per una grande forza di opposizione che non voglia diventare residuale e ininfluente, di riuscire a essere anche una grande forza di alternativa è, in buona misura, una chiacchiera buona solo per i gonzi. L’opposizione è l’opposizione, punto e basta. Il suo dovere non è di perder tempo a interrogarsi su se stessa, ma di fare tutta intera, senza se e senza ma, la propria parte per ravvicinare l’uscita di scena di Silvio Berlusconi. Ascoltando con simpatia e anzi chiamando a raccolta tutti quelli che condividono, a qualsiasi titolo, un simile sentire, e che per questo già si costituiscono come l’«altra Italia», per definizione migliore di quella berlusconiana. Un’Italia di cui sabato scorso, a Roma, nel No B-day, avremmo visto in piazza una sorta di avanguardia di massa. Giovane, semplice, pulita, indifferente alle prudenze e alle alchimie della politica politicante.
Alcuni commentatori, e tra questi Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, hanno preso radicalmente le distanze, e non è certo la prima volta, da una simile rappresentazione. Non tutti con i medesimi argomenti, e non tutti, almeno a giudizio di chi scrive, cogliendo nel segno. In ogni caso, Bersani, che si sappia, non se ne è adontato nemmeno un po’, e si capisce: almeno alcune di quelle critiche sarebbero state le sue, se solo i rapporti di forza (o di debolezza) a sinistra gli avessero consentito di formularle. Eugenio Scalfari, invece, sì, e anche parecchio. Vi ha visto quasi una campagna per mettere in mezzo il segretario del Pd, accusandolo (ingiustamente) di «irresolutezza e di incapacità a risolvere i tanti guai che affliggono il nostro Paese», e insomma un servigio, l’ennesimo, reso a Berlusconi, quasi che a governare, o a sgovernare, il Paese non fosse il Cavaliere, ma Bersani.
Come tutte le polemiche giornalistiche, anche questa è probabilmente destinata a lasciare il tempo che trova. Scalfari non riuscirà mai a convincerci che tra la piazza romana di sabato e il Pd di Bersani non c’è contraddizione, nessuno, tanto meno chi lo apprezza e lo stima, riuscirà mai a convincerlo che, talvolta, chi non la pensa come lui non è, soggettivamente o anche solo oggettivamente, al servizio di un disegno nefasto. Ma una risposta chiara alla domanda da cui abbiamo preso le mosse (ripetiamo: si può ragionare sulle difficoltà del Pd a costruire un’alternativa credibile senza per questo essere considerati dei tifosi neanche troppo «coperti» di Berlusconi?) quella sì, probabilmente non sarebbe inutile.
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