Il Pd intontito e l'ammuina di Grillo

Dalla Rassegna stampa

“Il Pd deve decidere: o noi o il rogo, la pacificazione nazionale o il berlusconicidio. Adesso aspettiamo, ma siamo anche pronti a scendere in piazza”, dice Angelino Alfano. Come tutti nel Palazzo, anche il segretario del Pdl osserva quello che accade in queste ore nel Partito democratico (“tocca a loro la prima mossa”), laddove si consuma un conflitto sulle prospettive della legislatura, su quello che andrà detto al presidente della Repubblica: intese con Silvio Berlusconi o patto sghembo con quel Beppe Grillo che risponde a pernacchie (“date a noi il governo”), ma che pure, in privato, dicono sia disponibile a un compromesso sul nome di un premier proveniente dalla cosiddetta “società civile”.

Massimo D’Alema (prima di rimangiarsi tutto in serata al Tg1) ieri è intervenuto sul Corriere della Sera e tutti, anche a Via dell’Umiltà, la sede del Pdl, hanno interpretato le sue parole come un’apertura di credito a Berlusconi, un’offerta allusiva, felpata, ma rivolta al Cavaliere: la presidenza del Senato al centrodestra in cambio della fiducia (e del Quirinale a D’Alema medesimo). Era nell’aria, l’offerta era attesa. Ma con le parole di D’Alema nel Pd è deflagrato un conflitto a stento contenuto tra i corridoi del partito: da una parte Bersani, ammaccato dalla botta elettorale, che prova (mal ricambiato) a tessere una complicatissima alleanza col mondo inafferrabile di Grillo; dall’altra la vecchia ma arzilla guardia ex diessina, D’Alema, che vuole commissariare Bersani, che vede Grillo come il fumo negli occhi e si propone, tra allusioni e non detti, come garante (dal Quirinale) di un patto con il centrodestra, l’unico accordo dal sapore politico, classico, che Napolitano potrebbe trovare coerente con la sua visione del mondo. D’Alema sembra in minoranza: “Mai parlato di governissimo”. Ma quali sarebbero i termini di un accordo possibile? Alfano ha “apprezzato” le parole di D’Alema “per quanto siano ancora troppo poco esplicite”.

La presidenza del Senato, cui forse Berlusconi assediato dalle procure pensa persino per se stesso, non basta. “Nelle larghe intese - dice il segretario del Pdl - tutto si tiene: il governo, il suo capo e i ministri, gli incarichi istituzionali, la presidenza delle due Camere, come pure la presidenza della Repubblica. Si deve discutere di tutto”. Insomma, come anticipato mercoledì dal Foglio, la partita è una sola, unico il negoziato: se il Pd vuole che il Pdl voti la fiducia, persino a un governo che abbia come premier un uomo del centrosinistra (“anche Bersani”), allora si deve chiudere un patto di sistema complessivo, ambizioso, “per una legislatura che duri molto, che pacifichi l’Italia, riassorba l’odio, e che punti alle riforme. Altrimenti sarebbe come consegnarsi a Grillo”. E dunque ecco l’agenda: una nuova legge elettorale “con il doppio turno alla francese” che piace al Pd e “l’elezione diretta del capo dello stato”. Perché il Pdl, ricorda Alfano, “conta un terzo dei voti del paese, e alla Camera ha il ventinove per cento dell’Aula”, Nelle larghe intese, il Cavaliere vuole essere un socio alla pari. Ma forse è solo un tentativo estremo, l’ultimo, di riacciuffare dei fili ormai al vento.

All’orizzonte si addensano nere nubi giudiziarie, i processi del Cavaliere riprenderanno prestissimo, sono attese delle condanne e, ieri, l’iniziativa della magistratura contro Berlusconi (indagato a Napoli per la “compravendita” di parlamentari) ha reso tutto più complicato. “Parlano di conflitto di interessi, se non fermano il rogo ne prenderemo atto e agiremo di conseguenza”. Gli uomini di Bersani, per quanto il segretario appaia sfinito, sono attivi sul campo, con la mediazione di Romano Prodi e di Vasco Errani. I rivoli della diplomazia emiliana conducono direttamente a casa di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio. Nella segreteria hanno persino ipotizzato di cedere la presidenza del Consiglio a una figura esterna al partito. Insomma da qualche giorno ormai nemmeno Bersani pensa più di proporsi lui come premier nelle consultazioni al Quirinale con Giorgio Napolitano (nota bene: ieri il presidente della Repubblica ha avuto uno scambio di battute carezzevole con Grillo). Nella zona grigia, negli ambienti di confine, tra gli ambasciatori, sono stati già fatti dei nomi, si è tratteggiato il profilo di un premier (o di un futuro presidente della Repubblica?) che stia a metà tra il Partito democratico e quella società civile che piace molto ai Cinque stelle e a Grillo, una cosa che sia accettabile per tutti: si fa insistente il nome di Gustavo Zagrebelsky, il costituzionalista animatore dell’associazione Libertà e Giustizia. Circola persino una leggenda: è Grillo in persona ad avere fatto il nome di Zagrebelsky. Chissà. Anche il Pdl propone, e se ne parla molto, un candidato d’eccezione, di alto profilo, che va bene a tutti: Mario Draghi. Tutto ancora per aria.

Una cosa è certa, tuttavia: è stato questo intenso lavorio diplomatico il detonatore che ha spinto D’Alema a esternare in pubblico - la sua ultima carta disperata quello che da alcuni giorni lui stesso diceva senza alcuna cautela anche in privato, e pure nelle riunioni con altri dirigenti: le larghe intese con Berlusconi vanno tentate, “il modello siciliano non esiste”. Nel Pdl questo lo hanno capito benissimo, il Cavaliere è favorevole da sempre, da prima delle lezioni, non vede l’ora, il grande negoziato con il partito avversario è un suo vecchio pallino. Ma tutto si complica, si attorciglia tra vicende giudiziarie e conflitti di interesse, timori e terrori, vecchi processi che riprendono e si avviano alla fase conclusiva, nuove indagini che non lasciano presagire niente di buono. “Siamo sospesi”, dice Alfano, e si fa forza di un risultato elettorale che contro ogni previsione ha consegnato al Pdl una buona forza contrattuale. “Da un lato c’è l’ipotesi storica di un processo di distensione tra noi e la sinistra - pensa Alfano - un patto di sistema complessivo che deriva dalla parole ancora vaghe ma apprezzabili di D’Alema. Ma c’è pure la tentazione latente dì consumare una nuova Piazzale Loreto, di vendicarsi. Vogliono fare la legge sul conflitto di interessi? Vogliono approvare leggi punitive contro il nemico politico? Decidano loro che cosa fare, tocca al Pd la prima mossa. Sappiano che noi siamo anche pronti a scendere in piazza, e pure a esigere il voto. Dalle urne noi abbiamo da temere molto meno rispetto al Pd che viene fagocitato da Grillo”. A marzo è già prevista una manifestazione di piazza, sulla giustizia. L’intensità, i toni, e la curvatura politica forse dipenderanno molto dagli eventi dei prossimi giorni. Ma isolato D’Alema il Pd sembra avere già scelto.

 

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