Il Pd e il federalismo in salsa italiana

Le parole sono importanti, il modo di definirsi è decisivo. Questi elementi nascondono spesso, soprattutto in ciò che non si dice, i limiti culturali che oggi attraversano non solo il centrosinistra italiano, ma l'intera scena politica del nostro Paese. Forse, per provare davvero ad imprimere una svolta, vale la pena di provare a smontare qualche luogo comune.
E se il federalismo, così come si viene disegnando in Italia, tanto per cominciare, fosse una drammatica sciocchezza? In fondo, le Regioni hanno dato in questi decenni complessivamente, nella media nazionale, pessima prova, e la qualità dell' amministrazione pubblica è peggiorata con la devoluzione dei poteri. Si è dilatato il corpo amministrativo delle istituzioni pubbliche, senza che a questo percorso di ipertrofia corrispondesse una capacità di erogare maggiori servizi ai cittadini. Tutti i servizi che sono passati da una gestione nazionale aduna gestione territoriale hanno dato l'esito di un incremento di costi contestuale ad un peggioramento della qualità del servizio per i cittadini: dalla sanità, alla scuola, ai trasporti. Nel disegno di un riassetto istituzionale concepito in logica progressiva, la devoluzione dei poteri si dovrebbe verificare verso l'alto, verso l'Unione Europea, e non verso il basso, se si esclude l'elemento più consono alla storia di lunga durata degli Italiani, vale a dire i comuni. Noi invece, sulla spinta della Lega Nord, abbiamo inseguito un disegno che schiaccia la capacità e gli spazi di manovra del governo nazionale, stretto sempre più tra la perdita progressiva di poteri simultanea verso il livello superiore della Unione Europea e verso il livello inferiore delle istituzioni territoriali.
In questa cosiddetta seconda Repubblica, poi, non c'è nessun partito che nella sua identità, nel suo stesso nome, abbia un riferimento all'Italia. Quasi tutti i partiti della prima repubblica, ad eccezione della democrazia cristiana, del partito radicale e dei gruppi della sinistra radicale facevano riferimento a questa identità (Pci, Psi, Pli, Pri, Psdi, Msi). Ora, quell'aggettivo nazionale resta nell'archivio delle memorie, e nessuno tiene alto il simbolo di una Idea per la quale le passate generazioni hanno combattuto.
Dobbiamo proprio consegnarci alle parole chiave degli altri, a partire da quelle della Lega? E proprio inevitabile sempre andare a rimorchio e non pensare con la propria testa? E se decidessimo di essere il Partito Democratico Italiano, per andare più coraggiosamente in Europa e per ricostruire un senso di identità nazionale che abbiamo intanto perso?Ciò non significa negare la realtà di una diversificazione territoriale e sociale che c'è, ma che va governata in direzione di una unificazione, non in direzione di uno sfaldamento ulteriore. Siamo stati un grande Paese quando abbiamo interpretato un progetto Paese, dalla ricostruzione del secondo dopoguerra fino alla partecipazione alla costruzione europea, che rischia ora di interrompersi e di implodere, anche perché noi stessi, uno dei Paesi fondatori, abbiamo smesso di crederci davvero. A pochi mesi dal centocinquantesimo anniversario della fondazione dello Stato unitario, servirebbe proprio una forza politica che prenda in mano il destino nazionale, e che torni a far sentire i cittadini parte di un progetto e di una identità comune.
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