Il Pd che ha votato Di Bella

La vicenda Raitre è destinata a lasciare strascichi fuori e dentro il settimo piano di viale Mazzini. Le dichiarazioni post-voto di Nino Rizzo Nervo suonano come un atto di sfiducia nei confronti del presidente Paolo Garimberti, accusato di essere schiacciato sulle decisioni del dg Mauro Masi (anche sul rinnovo del contratto a Bruno Vespa) e di non svolgere quelle funzioni “di garanzia” della minoranza che un presidente espressione dell’opposizione dovrebbe svolgere. Ma il voto di mercoledì ha di fatto indebolito anche la posizione del consigliere “dissidente”, la cui scelta isolata in consiglio tuttavia era forte dell’appoggio di un pezzo importante dell’azienda (i volti noti e i dirigenti di Raitre che hanno chiesto la conferma di Ruffini) e del sostegno ufficiale del Partito democratico. Garimberti insiste nel rivendicare il carattere solo “aziendale” della decisione, un naturale avvicendamento dopo quasi otto anni alla guida della rete: sottolinea il carattere quasi unanime della scelta, meno il fatto che Ruffini sia stato destinato alla direzione di una scatola vuota.
Già, ma la scelta è stata aziendale o politica? «Dipende da che parte la si guarda, se si dà più peso a una componente o all’altra della decisione – spiega a Europa Roberto Zaccaria, ex presidente Rai – se alla rimozione di Ruffini o alla scelta di Di Bella. È innegabile che dopo molti mesi di pressioni politiche su Raitre la scelta di sostiture Ruffini non può essere considerata solo aziendale, ma è anche vero che Di Bella garantisce il fatto che Raitre non sarò normalizzata. Anzi, il nuovo direttore ora avrà tutti gli occhi addosso e starà molto attento a non toccare i programmi politicamente più sensibili».
Pur definendosi un amico personale di Ruffini, anche il democratico Giorgio Merlo, vicepresidente della Vigilanza Rai, è certo che con Di Bella la linea politico-editoriale della rete non cambierà. «Qual è la linea del Piave dell’opposizione in azienda? Ruffini è stato un grande direttore, la sua rete è stata inventiva e originale, ma chi viene dopo di lui ha la nostra piena fiducia. La polemica politica sta diventando stucchevole ».
Una posizione non isolata nel Pd. Nonostante il pressing pro-Ruffini del neoresponsabile della Rai Carlo Rognoni e dell’ex ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni, c’è chi ha sponsorizzato l’avvicendamento, come il veltroniano Giorgio Van Straten (che ha votato sì in consiglio) e il dalemiano Matteo Orfini, neocomponente della segreteria del partito, che in un’intervista con il Riformista parla di «normalità» della scelta, dell’idea sbagliata che Raitre venga considerata un fortino della sinistra (giusto, ma allora perché Di Bella?) e dell’errore di un partito che finisca per sposare la causa del monopolio straniero di Sky contro quello tutto italiano di Mediaset. In fondo, nonostante la strana convergenza dalemian-veltroniana, tutto torna: Bersani è notoriamente poco interessato alla materia televisiva, D’Alema non è mai stato ostile al partito-Mediaset, l’ultimo Veltroni si è augurato che si esca dalla ventennale guerra civile tra il partito-Rai e il partito-Mediaset.
E mentre i Radicali italiani presentano un esposto alla procura contro il siluramento di Ruffini (visto che la sostituzione era annunciata da mesi), il cda è presto atteso a compiere altre scelte, come quelle delicate sul nuovo amministratore delegato della Sipra e del direttore di Rainews24, che potrebbero allargare lo strappo dentro il Pd a viale Mazzini. Della vicenda Raitre l’unico vincitore oggi è Masi: lui, l’obiettivo di spaccare il Pd in consiglio lo ha raggiunto.
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