Le paure del Pdl:un pasticcio che ci costa 3 punti

Tre punti persi in una sola settimana. Tanto è costato al Pdl il caos delle liste. Tre punti secchi in meno su scala nazionale, come uno sbrego sul volto di Berlusconi, che ieri si è presentato così ai dirigenti del partito. Perché più dell'inchiesta sugli appalti del G8, più degli strascichi del processo Mills, più delle polemiche con l'opposizione sulle leggi ad personam, «la causa che ci ha fatto precipitare nei sondaggi» è stata la settimana di passione tra Roma e Milano, le disavventure sulle candidature, gli errori, le omissioni, «ma soprattutto il rimbalzo di responsabilità, lo scambio di accuse tra di noi», quell'immagine devastante dell'uno contro l'altro.
Tre punti, «il Pdl dal 40,8% è passato al 37,9%», secondo Berlusconi. Quella ferita è stata rimediata «perché noi non abbiamo difeso, come dovevamo invece fare, i nostri dirigenti locali», mentre c'era da scaricare ogni responsabilità «sui nostri avversari e sulla magistratura che usa ogni mezzo pur di colpirmi». Secondo il premier si è trattato di un errore di strategia comunicativa, «abbiamo fatto passare l'idea che noi, che siamo al governo, non siamo nemmeno capaci di presentare delle liste». Ma è chiaro a Berlusconi che le difficoltà mediatiche sono solo
l'aspetto esteriore delle difficoltà politiche, e che non basta - come pure ha fatto - invitare i dirigenti del partito a «centrare d'ora in avanti la campagna elettorale sui buoni risultati di governo».
La decisione di alzare la posta in gioco, chiamando in causa il Quirinale per il pasticciaccio brutto delle liste, è un modo per allentare le tensioni nel Pdl e dare l'immagine di una coalizione che offre una diversa prospettiva della vicenda, non accettando passivamente quello che viene offerto ai propri elettori come «un sopruso». La riunione urgente dell'Ufficio di presidenza del partito, il vertice con la Lega e il colloquio con Napolitano servivano a questo, perché tutti
sapevano che l'ipotesi del decreto per un rinvio delle elezioni non era costituzionalmente praticabile, perché era nell'ordine delle cose che nel Lazio la Polverini sarebbe tornata in gioco con il ricorso alla corte d'Appello, in attesa di buone notizie per Formigoni. Berlusconi doveva però dare l'idea di muoversi, anche agli occhi degli elettori di centrodestra, che secondo i sondaggi mostrano segni di disaffezione e sono tentati dalla logica dell'astensionismo.
Certo, ora che il Cavaliere si è esposto al punto da salire al Quirinale, soltanto una soluzione del caso Lombardia e della lista Pdl nel Lazio potrebbe garantirgli un'operazione a saldo positivo. A meno che non decida di sfruttare un eventuale insuccesso nel gioco di Palazzo per alzare il livello dello scontro elettorale e chiamare a raccolta il «popolo» del Pdl, mettendo ancora una volta nel mirino la magistratura.
Berlusconi è su questo confine da ieri sera, dopo la visita al capo dello Stato, dal quale si è presentato «aperto a tutte le ipotesi» pur di risolvere il problema. A parte le resistenze di Napolitano, niente affatto convinto da un provvedimento che riapra i termini per la presentazione delle liste e consenta ai candidati pdl del Lazio di mettersi in regola, il problema politico che la vicenda rivela è lo scontro interno al partito, segnato dal duello tra il premier e il
presidente della Camera. Tutto ruota attorno al duello Berlusconi-Fini, «e se possibile bisogna che il rapporto si sani», dice il ministro Matteoli, preoccupato dalla piega degli eventi. Non sono chiari i motivi che hanno provocato una ripresa del conflitto, ma non c'è dubbio che il calo di consensi è stato determinato anche dalla rinnovata ostilità tra i due. Nell'immaginario collettivo degli elettori del Pdl resterà impresso lo scontro tra i «cofondatori» che si è giocato proprio mentre in Lazio e in Lombardia stava per scoppiare il caos delle liste: con Berlusconi da una parte, che lanciava i Promotori delle libertà, quasi un partito parallelo al Pdl; e con Fini dall'altra che - a un mese dal voto - introduceva l'idea di riformare il sistema pensionistico.
Tre punti sotto: Ecco il risultato. Senza che nel Pdl si capisca fino a che punto i due vogliano arrivare. Perché il Cavaliere sostiene di non avere «intenzione di salire su un altro predellino», non se lo può permettere, dato che sta al governo. E perché Fini ripete che «non c'è alternativa
al Pdl», a meno che non intenda sconfessare il suo credo di bipolarista.
Ma il conflitto resta, e non solo ha generato una lotta senza quartiere sul territorio, rischia di riflettersi sul governo.
Il risultato delle Regionali influirà sul restante percorso della legislatura, ma l'impressione nella maggioranza è che - per dirla con il segretario del Pri, Nucara - Al centrodestra abbia la stessa sindrome che afflisse l'Ulivo nel'97, quando iniziarono a litigare per il potere, pensando che Berlùsconi fosse stato definitivamente sconfitto, e che loro avrebbero governato per vent'anni. Non andò così e tutti persero tutto».
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