Paura o speranza Il fascino mai sopito per Giulio

Vero amore non c'è mai stato ma neanche odio a guardar bene. Il rapporto tra i leader della sinistra italiana e Giulio Tremonti è sempre stato contraddittorio, se volete ambiguo, comunque ambivalente. Memorabili sono stati gli scontri tra lui e Bersani nelle trasmissioni televisive, gli ultimi neanche due mesi fa: «Il governo ammetta i suoi errori altrimenti non ci mettiamo neanche a discutere», disse il leader del Pd. «Se si fa propaganda non andiamo da nessuna parte», gli replicò Tremonti. Così come passò alla cronaca politica quel match di dieci anni fa al Raggio Verde di Santoro quando D'Alema furioso gli urlò in faccia (e in diretta tv): «Stai zitto, stai zitto». Lui rispondeva con un sorriso ironico e ribadiva il suo punto di vista, più politico che economico all'epoca. E soprattutto provocatorio. Può quindi apparire paradossale che sia proprio Bersani (ovviamente d'accordo con D'Alema) a candidare Tremonti a premier. Ma nemmeno tanto. Perché c'è un lato del ministro che a sinistra ha sempre suscitato interesse, quello della sua critica alla globalizzazione, ben spiegato nel suo ultimo libro del 2008 «La paura e la speranza». E se vogliamo, andando parecchio indietro nel tempo, si può ricordare di quando Tremonti era socialista e scriveva ogni tanto addirittura per il manifesto (Anni Ottanta). Oppure di quando - e gli è capitato diverse volte - ha citato con cognizione di causa gli scritti di Marx, apprezzandone i concetti. Non a caso, proprio il più radicale dei radicali, cioè Fausto Bertinotti, disse a proposito del libro del ministro: «Per quanto riguarda il rapporto con le imprese resta liberista ma la novità è che Tremonti ora vede i pericoli della globalizzazione capitalistica. Preferisco più un avversario intelligente che avverte i pericoli della recessione, che un vicino lontano che fa finta di non accorgersi di nulla». Anche se, un anno dopo, proprio in un'intervista al nostro giornale, Bertinotti corresse il tiro: «Ma lui la globalizzazione non la mette mai in discussione. Faccio un esempio: chiude una fabbrica, che fa Tremonti? Interviene, mette a disposizione soldi pubblici, cerca qualcuno disponibile a salvarla? No, allarga le braccia e risponde: "È la globalizzazione, bellezza". Che poi la critichi o meno, cambia poco». Aggiunse D'Alema sempre in quel periodo «Lo stimo in quanto persona intelligente, anche se talora paradossale. E in un panorama politico nazionale piuttosto povero come quello attuale, è un interlocutore con cui a volte è piacevole confrontarsi». Così anche quando si è cominciati a scendere nel concreto della politica economica, per esempio col decreto salva-banche di due anni fa, Bersani lo definì un «provvedimento ragionevole», D'Alema parlò di «norme giuste», la capogruppo in Senato Anna Finocchiaro di «un buon pacchetto». Ugo Sposetti, l'ex tesoriere del partito e fedelissimo proprio di D'Alema, si spinse più in là: «Ho sempre detto che nel centrodestra è l'uomo che fa la differenza. Se non ci fosse lui, il Pdl non esisterebbe». E un altro dalemiano doc, ossia Nicola Latorre: «Gli riconosco grande senso di responsabilità». Il tutto condito da svariati apprezzamenti per la capacità di Tremonti di prevedere la grande crisi che sarebbe arrivata, e in effetti si ricorda un Porta a porta di quando al governo c'era ancora Prodi in cui il futuro ministro lanciò un vero e proprio Sos: «Ci sta per arrivare addosso una tempesta». I suoi interlocutori minimizzarono, ma avevano torto. Poi certo, critiche, polemiche e anche scontri duri non sono mancati da quando è arrivata la supermanovra. Il tutto però accompagnato da una frase detta a mezza bocca, e sempre in privato, da quasi tutti i leader della sinistra: «I conti li ha tenuti in ordine...».
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