Patti «collettivi» per dare più peso ai dipendenti

Più partecipazione dei lavoratori ai risultati dell'impresa. Tra le diverse novità introdotte dalla riforma del mercato del lavoro spicca l'intervento nell'ambito dell'informazione e consultazione dei lavoratori nonché di partecipazione degli stessi agli utili e al capitale delle imprese: si tratta di un obiettivo ambizioso visto che la materia è stata finora poco sviluppata nel nostro ordinamento. Peraltro il percorso attuativo dovrà tener conto delle criticità della normativa legale e contrattuale vigente e degli ostacoli che finora hanno impedito la diffusione degli istituti partecipativi, al pari degli altri Paesi europei. Il progetto sulla realizzazione di sistemi di "democrazia aziendale" è infatti già nell'aria da tempo: il 7 luglio 2010 l'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi aveva inviato alle parti sociali un embrionale "Codice della partecipazione", che riprendeva i principi fissati in un avviso comune sottoscritto il 9 dicembre 2009.
Il documento è però caduto nel vuoto. Di recente emanazione (22 giugno scorso) è invece il decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/38/Ce riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo (Cae) per la consultazione dei lavoratori nelle imprese multinazionali, di dimensioni comunitarie. Ora il rilancio impresso dalla riforma passa attraverso il conferimento della delega al governo ad adottare entro 9 mesi dall'entrata in vigore della legge Fornero (18 aprile 2013) - uno o più decreti legislativi volti a favorire le politiche di coinvolgimento dei lavoratori nell'impresa, tramite lo strumento del contratto collettivo aziendale.
I decreti delegati dovranno seguire le best practices individuate dalla riforma, individuando i meccanismi di informazione e consultazione a carico dell'impresa nei confronti delle organizzazioni sindacali; le procedure di verifica di attuazione delle previsioni introdotte, anche attraverso organismi congiunti ad hoc istituiti (che potranno partecipare alla gestione in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, di pari opportunità e di welfare aziendale); i metodi di controllo sulle scelte aziendali da parte dei lavoratori; la previsione della partecipazione di lavoratori dipendenti agli utili dell'impresa; l'accesso privilegiato dei lavoratori al possesso di quote societarie. Di particolare interesse è l'inclusione tra le linee guida delle "forme di remunerazione collegate al risultato", tipiche dei contratti di produttività.
Il rischio è che il riferimento alle intese collettive -quale centro di regolazione sulla partecipazione- crei una spaccatura tra imprese in cui sono presenti le rappresentanze sindacali e l'universo delle Pmi non sindacalizzate, con la conseguenza di possibili distorsioni nel trattamento dei lavoratori, a seconda della loro appartenenza alle diverse realtà aziendali. Il risultato sarebbe così contrario a quello cercato, com'è già successo in tema di detassazione dei salari incentivanti, dove tutti i dipendenti privi di contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale) sono rimasti esclusi dai benefici fiscali.
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