Patrimoniale e famiglia, prime intese

La chiave di volta della costituenda alleanza a sinistra tra Pd e Sel si chiama patrimoniale: una tassa ordinaria e quindi strutturale su ricchezze superiori a 1,2 milioni di euro – spiega il responsabile economico del Pd Stefano Fassina – con progressività dallo 0,5% all'1%. La proposta era già stata presentata a Mario Monti al momento della stesura del decreto salva-Italia come alternativa all'Imu sulla prima casa. I proventi sono stimati attorno ai 5-6 miliardi di euro l'anno e nelle intenzioni dei democratici dovrebbero andare a ridurre il cuneo fiscale su redditi e imprese.
Un'operazione di redistribuzione fiscale, insomma, come delineato anche nella «carta d'intenti» per il «patto dei democratici e progressisti» messa giù da Pier Luigi Bersani la settimana scorsa e approvata nelle sue linee generali da Nichi Vendola. «Il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull'impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari», è scritto nella carta. Poi il capitolo democrazia del lavoro, ossia rappresentanza sindacale e partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali e agli eventuali utili. Infine l'apertura sui diritti civili nella forma del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto (i vecchi Dico). Questi tre punti – patrimoniale, democrazia del lavoro e diritti delle coppie gay – hanno permesso a Vendola di imbarcare il suo partito nell'avventura governativa.
Bersani ritiene di poter scongiurare il rischio Unione – ossia quella politica di lotta e di governo da parte della sinistra che ha paralizzato l'azione dell'ultimo Prodi fino a decretarne la caduta – attraverso la sottoscrizione di una sorta di carta di impegni in tre punti: «Vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta; assicurare il pieno sostegno, fino all'eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro; appoggiare l'esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell'eurozona». Insomma, blindatura su politica internazionale e processo di integrazione europea (compresi gli impegni ai vincoli di bilancio) e votazione a maggioranza dei gruppi parlamentari per le questioni controverse. Vendola ha detto di accettare nel suo complesso la logica della votazione a maggioranza, ma ha già messo dei paletti sui temi che riguardano «la guerra e la pace» e sulle «questioni etiche». A dimostrazione che se mai si dovesse arrivare a un governo di centro-sinistra nel 2013 qualche problema a Bersani l'alleato di sinistra lo darà certamente. Ma i pilastri di politica economica dell'agenda montiana non dovrebbero essere messi in discussione. Qualche pressione i vendoliani la faranno in tema di flessibilità del lavoro, visto che hanno già annunciato di voler rivedere la legge 30. Tuttavia Vendola sembra volersi ritagliare piuttosto il ruolo di bastian contrario sul vasto tema dei «diritti».
E l'Udc, altro interlocutore di Bersani nell'ottica di un governo frutto dell'alleanza tra progressisti e moderati? Pier Ferdinando Casini ha già puntualizzato che «Vendola è un problema di Bersani». E sulla questione del riconoscimento delle coppie di fatto (che il leader Sel vorrebbe trasformare in veri e propri matrimomi) il leader centrista ha intelligentemente dribblato sottolineando che in quanto tema etico riguarda le coscienze e quindi ogni parlamentare voterà secondo la propria coscienza. Quanto alla patrimoniale, la voce economica dell'Udc Gianluca Galletti non vuole pronunciare un giudizio. Nessun veto e nessuna apertura. «Come strumento di redistribuzione fiscale può anche avere un senso – è il suo ragionamento – ma noi pensiamo in generale che la strada principe sia quella della riduzione della spesa pubblica e non quella di un aumento della tassazione, a qualsiasi livello».
Galletti ricorda poi che l'attuazione dell'agenda Monti, a cominciare dalle cose ancora da fare in questo fine legislatura, è di per sé un buon programma anche per il dopo 2013: dalla riduzione della spesa, appunto, alla dismissione degli immobili pubblici per abbattere il debito, fino alla riforma fiscale e tributaria con la "potatura" delle 180 voci tra deduzioni e detrazioni in modo da poter concentrare gli aiuti fiscali sulle famiglie con i figli. Certo, l'orizzonte programmatico dei centristi resta quello del "quoziente familiare" alla francese. «È la nostra priorità per quando ci saranno le risorse – spiega Galletti –. Ma già agire sul cuneo fiscale per premiare di più i lavoratori con figli è un buon passo in quella direzione».
Quanto alla dismissione degli immobili pubblici, se il Pd pensa di destinare i proventi agli investimenti per le infrastrutture, Galletti insiste sull'abbattimento del debito pubblico e ne fa addirittura una questione etica: «Nel momento in cui vendiamo un patrimonio pubblico che appartiene soprattutto ai nostri figli è nostro dovere restituirglielo sotto forma di abbattimento del debito che loro dovranno pagare piuttosto che spenderlo, anche se in forme utili al Paese».
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