Il partito di Eta Beta e la fiducia nella politica

Dalla Rassegna stampa

Quello della fine della funzione nobile dei partiti è il male più pericoloso del nostro tempo. Occorre riscrivere l'abbecedario della politica.

Ridare fiducia ai trentenni, ai quarantenni, alle nuove generazioni. C'è da responsabilizzare una nuova classe dirigente e politica offrendo ai giovani l'opportunità di farsi valere. Bisogna ripartire dal significato delle parole, dal linguaggio, dal senso delle cose che si fanno e si pensano e si dicono. Insomma, è arrivato il momento di riformare la politica, i partiti, le istituzioni. Ma non possono farlo coloro che sono i responsabili partitocratici di un tale fallimento. A destra come a sinistra, al centro come altrove. Ci vuole un altro campo, un "partito Eta Beta". Mi riferisco a quel personaggio dei fumetti che aveva ed ha una struttura fisica abbastanza semplice: occhi vispi e attenti, sorriso allegro, un piccolo gonnellino nero, che contiene una gran quantità di oggetti, almeno quanto sono le idee, un corpo longilineo, una simpaticissima testa grande e a forma di pera, segno di genialità e di sapienza, con la caratteristica di dormire stando in equilibrio sui pomoli dei letti o sulle stalagmiti. La descrizione di Eta Beta può anche essere la metafora per disegnare una più moderna e agile forma-partito. È l'idea di partiti come "intelligenze collettive", come "club e associazioni", di sapore giscardiano, liberale, con esili strutture organizzative e "forza dirimente nelle idee". È questo il primo passo che si può fare per ricomporre il tessuto politico dell'Italia e dell'Europa. È questo il compito ambiziosissimo che un gruppo di persone si è dato, ormai un anno fa, con il convegno intitolato "Un altro terreno: le idee Lib-Dem", riunendosi intorno al quotidiano "L'Opinione". Ed ora, grazie al direttore Arturo Diaconale, il dibattito meritoriamente proposto e seminato negli ultimi dodici mesi è giunto a un punto avanzato della discussione mentre, sullo stesso tema, appare evidente il ritardo delle forze politiche. Da qui l'idea degli "Amici dell'Opinione" di cominciare a definire qualcosa di nuovo e di diverso per i partiti del futuro. E le prime risposte, all'interno degli "Amici dell'Opinione", cominciano ad arrivare. Personalmente, ad esempio, penso da tempo all'idea di un partito come "cervello connettivo", come "corpo pluricentrico", come "pensiero attivo e interagente". Proprio recuperando e aggiornando quanto prospettò e propose Giuliano Amato oltre venti anni fa: un partito snello, senza inutili burocrazie verticistiche, capace di tenere insieme le diversità riducendo le differenze e le disuguaglianze anzitutto dentro di sé per poterlo fare anche al di fuori. Un partito che abbia un metodo liberale interno in grado di riconoscere i meriti, valorizzare le attitudini e le qualità di ciascuno, di favorire l'incontro e il contraddittorio delle idee in campo. Un partito, cioè, dotato di sensori vigili, presente e attivo grazie all'apporto delle idee e delle persone, con un progetto e un sogno che vive nelle persone, tra la gente comune, nelle strade, su internet, nei social-network. Un partito capace di pensare e ripensarsi, composto da più associazioni, da più gruppi di lavoro, da individui diversi che vivono e partecipano all'attività politica con la forza delle idee. Qualcosa di simile, appunto, all'extraterrestre Eta Beta, ma reso più umano dagli errori e dagli ideali di ciascuno, dalle legittime aspirazioni di chiunque voglia dare il proprio contributo. Un Eta Beta che viene da futuro, intelligente e sensibile, che opera e agisce nell'interdipendenza dei singoli. Quella di Eta Beta è una similitudine che può funzionare e che, comunque, rende bene l'idea. Però, non mi interessano ora le "mie" soluzioni, mi interessa approfondire il metodo. Ho qui proposto, sulle pagine de l'Opinione, un dibattito che seguisse il 'metodo liberale" e che mettesse in luce le caratteristiche del futuro partito Eta Beta: il primo aspetto è quello della incompatibilità tra incarichi di partito e qualsivoglia altro incarico istituzionale o elettivo. Non è più accettabile che si possa ricoprire, nello stesso tempo, un incarico dirigente o di responsabilità all'interno del partito e poi essere anche parlamentari, ministri, sottosegretari, europarlamentari o consiglieri regionali. I partiti non devono entrare nelle istituzioni dello Stato con le loro burocrazie e apparati. Una regola va scritta: quando si assumono responsabilità di partito, a cominciare dal segretario e dal presidente, non si può essere anche eletti o nominati nelle assemblee istituzionali di ogni ordine e grado né candidarsi come premier o, peggio, per il Quirinale. Il discorso, ovviamente, è valido soprattutto in senso opposto: quando si è nelle istituzioni non si possono accettare incarichi di partito.

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