Il partito adesso non potrà più ignorare Renzi

Dalla Rassegna stampa

Le elezioni primarie, maggioritarie per definizione, hanno una regola molto semplice: chi vince vince, chi perde è fuori. Pier Luigi Bersani ha prevalso - e bene - nella sfida lanciatagli due mesi fa da Matteo Renzi: eppure è difficile immaginare che il sindaco-“rottamatore” sia fuori dai giochi. E questo non soltanto per la quantità di consensi ricevuti. Ma anche perché è difficile immaginare che sia proprio il segretario Pier Luigi Bersani a considerarlo fuori...

 

Quel che infatti da oggi dovrebbe essere evidente - o semplicemente: ancora più evidente - è quanto fosse sbagliato pensare (se qualcuno ai vertici del Pd l’ha pensato sul serio) che l’insoddisfazione per come vanno le cose, la rabbia per il pantano in cui è finita la politica e la voglia di cambiamenti radicali, fossero sentimenti che riguardassero altri, ma non il “popolo del centrosinistra”. Se non erano bastate le primarie-choc per la scelta dei candidati-sindaco in città come Milano, Genova, Cagliari e Napoli (finite tutte con la sorprendente sconfitta dei “candidati ufficiali”) i consensi raccolti da Matteo Renzi sono lì a confermarlo.

 

Il quaranta per cento degli elettori andati alle urne in questa domenica di freddo e pioggia, ha infatti votato per il sindaco-rottamatore. Il dato è politicamente rilevante. Ma lo è anche numericamente, se si considera che Renzi aveva come avversario il segretario del partito, la quasi totalità degli apparati e dei gruppi parlamentari, la larghissima maggioranza dei sindaci e dei governatori del centrosinistra e - al ballottaggio - anche gli altri tre candidati al primo turno (Vendola, Puppato e Tabacci). Aver raggiunto in queste condizioni il 40 per cento dei consensi, è un risultato non scontato e che può soddisfare Renzi. E che - visto che questa partita è ormai chiusa - può servire non poco allo stesso Pier Luigi Bersani.

 

Al segretario uscito vincitore da una sfida che nascondeva (come poi si è visto) più insidie di quante fossero prevedibili in avvio, Matteo Renzi - meglio: le esigenze di cambiamento da lui raccolte e rappresentate - offre una straordinaria occasione per far “girare la ruota” del rinnovamento, come più volte promesso dal segretario prima e dopo la sfida delle primarie. Lo stesso discorso con il quale Renzi ha commentato la sconfitta e “passato la palla” al vincitore, gliene offre tutta la possibilità. Sta al segretario, adesso, coglierla: sapendo, naturalmente, che il momento non è dei più facili e gli ostacoli che gli verranno frapposti saranno molti.

 

Non c’è dubbio che i primi arriveranno dal suo stesso partito, il Pd. E’ dentro il Partito democratico prima di tutto - come annotato dallo stesso Bersani - che la ruota deve girare. Vinte le primarie, quell’impegno non lo ha rinnegato, anzi: «Adesso - ha detto nel discorso col quale ha celebrato la vittoria - devo predisporre i percorsi e gli spazi per dare occasioni alle nuove generazioni». Non ha taciuto, inoltre, la circostanza di aver voluto le primarie nonostante lo scetticismo - quando non la esplicita contrarietà - dei maggiorenti del suo partito, e sa perfettamente che è con loro che adesso dovrà a fare i conti.

 

Potrà farlo, però, da una posizione di grande forza. «Bersani adesso è fortissimo», ha annotato dopo il voto Romano Prodi, che pure ha apprezzato e guardato con simpatia alla campagna di Matteo Renzi. Molti, addirittura, hanno parlato - ed a ragione - di una sorta di vera e propria “reinvestitura” per il segretario del Pd: non ci sono precedenti, infatti, di un leader eletto con primarie segretario e scelto - di nuovo attraverso primarie - come candidato premier del centrosinistra.

 

Infine Renzi. Chiaro, corretto e molto “moderno” il discorso con il quale ha riconosciuta la vittoria di Bersani. Ha confermato lealtà al segretario e disponibilità all’impegno. Solo un improvviso impazzimento - crediamo - potrebbe convincerlo ad accettare le “lusinghe romane”, una candidatura, una poltrona, un posto qualunque ai vertici dell’apparato. La rotta da seguire, in fondo, gliel’ha indicata proprio Romano Prodi, commentando il suo risultato: «Il futuro di Renzi è essere un’alternativa». Ha 37 anni, molto credito e qualche idea brillante. Il voto di ieri, in fondo, più che una bocciatura sembra un rinvio a settembre... Se non farà errori, il suo tempo inesorabilmente arriverà.

 

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