Parole e idee di «buona politica»

Se si guarda la scena con distacco, si può cogliere, persino gustare, la pazienza con cui il mondo del giornalismo "bacchetta" quotidianamente i ceti politici, proponendo loro un'agenda di misure urgenti come la legge elettorale, la disciplina della vita interna e dell'azione dei partiti, i tagli drastici ai rimborsi elettorali e al numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali e così via.
La scena in questione somiglia a quella di un giovane padre pazientemente intento a insegnare al proprio piccolo a essere meno egoista, cercando di smontare pezzo per pezzo i suoi aspetti eccessivamente possessivi e autoreferenziali: non solo un "popolo bambino", ma anche un'"èlite bambina".
L'opinione pubblica mediale - quella più critica e attenta del mondo del giornalismo - tenta di indurre i politici a smontare il telaio dei privilegi creato con la Seconda Repubblica e a cambiare, con competenza, le regole del gioco.
Spaventati dalla crisi del mercato del consenso (astensionismo e grillismo antipartitico), i partiti non solo svicolano su riforma costituzionale e "Porcellum" con una leggerezza ai limiti dell'incuria, ma restano nel vago anche su coalizioni e leader, a meno di dieci mesi dal termine della legislatura.
Monti e il governo dei tecnici, al contrario, sono per lo più percepiti dal giornalismo come prodromi di un cambiamento che prevede un'auspicabile integrazione tra tecnici e il mondo politico che nascerà con la Terza Repubblica, dopo il 2013. È vero: Monti non è un fascio di luce sul futuro, ma già rappresenta una pietra miliare al pari dei governi tecnici post-Tangentopoli. Altri opinionisti hanno interpretato l'avvento di Monti come un ritorno della borghesia per mettere ordine alla deriva del potere settentrionale di centro-destra.
Comunque, il mondo del giornalismo - in gran segreto anche quello di "opposizione" - sa che quanto il governo sta facendo sul fronte del rigore andava comunque fatto e subito, perché l'incendio era sull'uscio di casa. Monti sta tentando anche d'illuminare un percorso politico e di crescita, incoraggiato dalla vittoria di Hollande, dalle esigenze elettorali di Obama e dalla grande stampa che lo vorrebbe rigorista e, insieme, leader "trasformativo", capace d'impostare la nascita della Terza Repubblica.
In questa veste, i risultati sono stati scarsi sia per l'appoggio malfermo della strana maggioranza che lo sostiene sia per l'Europa che pericolosamente ha rischiato di continuare a guidare a fari spenti nel buio della crisi. Dal vertice di Bruxelles però viene la promessa di un cambio di marcia, grazie anche all'azione di Monti.
Nel tentativo di creare una piattaforma culturale condivisa tra le élite e i circuiti della cittadinanza "beninformata", il nostro giornalismo, in questi mesi, ha veicolato proposte di rigore e di crescita che la politica dovrebbe prendere sul serio, vista l'ostinata persistenza nel Paese di vecchie idee d'amministrazione pubblica e d'industria, professionali e finanziarie, corporative e culturali. Al di là di quanto ribattono i politici in tema di libertà d'informazione, il mondo del giornalismo, ormai sconfinato in internet, costituisce un vero e proprio nuovo pilastro per una democrazia rappresentativa come la nostra, ancora giovane e immatura per correttezza e competenza.
Quanto più i politici sono confusi e corrosi dalla paura di sbagliare e dediti al fine personale, tanto più, per contagio micidiale, il giornalismo rafforza il suo ruolo di demiurgo dell'informazione: la "lavora", ne metabolizza il significato in comunicazione e, infine, la rende oggetto dei suoi soft powers, della sua capacità persuasiva, la vera moneta del potere odierno.
L'opinione pubblica mediale espressa dal giornalismo rappresenta una sorta d'indispensabile "servomeccanismo" per la politica: se il malessere attacca la democrazia rappresentativa, diventa una decisiva terza Camera parlamentare, rappresentante delle agorà mediatiche frequentate dalla parte più competente della cittadinanza.
I media danno colorazione appropriata alla politica. Non allontanano i cittadini da essa. Anzi, offrono ogni giorno molta più politica di quanto l'audience chieda, soprattutto in tempi di crisi. Per questo giornalisti e politici, malgrado i dissidi, sono in realtà un'élite unica, per la consueta supplenza, nella perenne crisi politica, dei primi nei confronti dei secondi, con gli intellettuali a creare il mondo delle idee e i sondaggisti a chiedere alla gente quello che media e politica vogliono che risponda. Si è formato un network elitario, una net-élite con rapporti ramificati con pubblicità, finanza e quant'altro, che ha già svolto un ruolo importante, post-Tangentopoli, nell'orientare l'opinione pubblica degli anni 90 verso un percorso di stabilità e di riforme.
Oggi il giornalismo, da un canto, invita i politici a cambiare pelle, adottando le necessarie decisioni che li riguardano, senza distrarsi dagli impegni interni e da quelli ormai decisivi in sede europea. Dall'altro, sollecita Monti e i tecnici a uscire dall'affanno, proponendosi come leadership trasformativa di taglio europeo, in grado di realizzare senza indugi le soluzioni urgenti per il Paese.
In conclusione, spinge per una "buona politica" i cui ingredienti rimangono gli stessi da secoli: l'aretè (la virtù, la competenza) e la tèchne (la capacità di realizzazione pratica).
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